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COOPERAZIONE SOCIALE

a cura di Redazione Ogl Toscana

16 Giugno 2018

In data 31.10.2018 è stata approvata dal Consiglio Regionale la legge n. 58/2018 relativa a “Norme per la cooperazione sociale in Toscana”.

Si tratta di una legge molto attesa, il cui iter di approvazione prende le mosse da una proposta di legge avanzata dalla Giunta regionale, che, tenendo conto della recente riforma nazionale del Terzo settore (D.lgs. 117/2017), supera la previgente legge regionale in materia, ossia la l.r. 87/1997.

Prima di addentrarci nell’analisi delle disposizioni che compongono la nuova legge regionale, è opportuno, al fine di comprenderne al meglio il contenuto, soffermarci su che cosa si intenda per cooperazione sociale e, quindi, più in generale su cosa sia il Terzo settore.

Il terzo settore rappresenta quell’ambito in cui agiscono enti collettivi privati che svolgono attività di utilità sociale senza scopo di lucro. In particolare, l’art. 4 del d.lgs. 117/17 afferma che “(..) Sono enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio dei beni o servizi ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo Settore (…)”.

All’interno del Terzo settore, quindi, operano gli enti sopra richiamati che svolgono attività di varia natura -dal settore dell’educazione, alla sanità, ai servizi sociali etc – tra cui troviamo le cooperative sociali, le quali, a norma della l. 381/1991, art. 1, comma 1, “ (..) hanno lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini attraverso: a) la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi; b) lo svolgimento di attività diverse – agricole, industriali, commerciali o di servizi – finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate (..)”.

Premessi questi brevi cenni, passiamo, adesso, ad esaminare il corpus della legge regionale 58/2018, che si compone di 22 articoli suddivisi a loro volta in cinque Capi, nello specifico:

  • Capo I – Disposizioni generali: all’art. 1 vengono, da prima, individuate le finalità che la Regione Toscana intende perseguire con la presente legge facendo riferimento, in particolare, alla volontà non soltanto di riconoscere, valorizzare e promuovere il ruolo e la funzione delle cooperative sociali presenti nel territorio regionale, ma anche di garantire una piena attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale (art. 118 Cost.)1. Nella parte finale, l’art. 1 indica gli ambiti ai quali si estendono le disposizioni della medesima legge: a) disciplina dell’albo regionale delle cooperative sociali; b) determinazione delle modalità di raccordo delle attività delle cooperative sociali con le attività dei servizi pubblici socio sanitari, socio assistenziali ed educativi negli atti di programmazione regionale; c) individuazione dei criteri e delle modalità di erogazione dei servizi da parte delle cooperative sociali; d) disciplina della co-programmazione e co-progettazione con le cooperative sociali; e)disciplina della Consulta regionale per la cooperazione sociale.

L’art. 2, invece, fa riferimento alla “Partecipazione delle cooperative sociali alla programmazione regionale” e, al riguardo, afferma che la stessa è garantita e trova attuazione secondo le modalità stabilite dalla precedente legge regionale n. 1/2015.2

  • Capo II – Albo regionale delle cooperative sociali: in primis, l’art. 3 individua quale condizione necessaria per la stipula delle convenzioni con la Regione, i suoi enti dipendenti, le aziende e gli enti del servizio sanitario regionale, gli enti locali singoli o associati, l’iscrizione all’albo regionale delle cooperative sociali. Successivamente, e per la precisione al comma 4 dell’art. 3, viene individuata la struttura del medesimo albo, che si articola in tre sezioni: “(…) a) sezione A, nella quale sono iscritte le cooperative sociali che ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della l. 381/1991 gestiscono servizi socio sanitari ed educativi, incluse le attività di cui all’art. 2, comma 1, lettere a), b), c), l) e p) del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 112 (…); b) sezione B, nella quale sono iscritte le cooperative sociali che svolgono attività diverse: agricole, industriali, commerciali o di servizi finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate; c) sezione C, nella quale sono iscritti consorzi costituiti come società cooperative ai sensi dell’articolo 8 della l. 381/1991, la cui base sociale è formata in misura non inferiore al settanta per cento da cooperative sociali iscritte all’albo. (..)”.

Gli artt. da 4 a 7, poi, individuano i requisiti che le cooperative sociali devono presentare per iscriversi nelle tre sezioni in cui si suddivide l’albo, mentre l’art. 8 e 10 provvedono ad indicare la procedura d’iscrizione e cancellazione da quest’ultimo.

Infine, l’art. 9 illustra la procedura di verifica, a cui le cooperative iscritte sono annualmente assoggettate, al fine di constatare la permanenza dei requisiti previsti agli artt. 4 e ss.: in particolare, detti controlli sono eseguiti dal Comune capoluogo di Provincia e dalla Città metropolitana di Firenze e possono consistere nella richiesta di esibizione del bilancio sociale (se previsto), nella consegna di una relazione sull’attività svolta e, con solo riferimento alle cooperative di tipo B,  estesa ai risultati conseguiti dalle persone svantaggiate inserite nel mondo del lavoro, oltre all’elenco delle convenzioni in essere e all’elenco dei soci-lavoratori o dipendenti. Una volta eseguiti detti  controlli, entro il 30 ottobre di ogni anno, il Comune capoluogo di provincia e la Città metropolitana di Firenze devono trasmettere all’amministrazione regionale: a) l’elenco delle cooperative sociali che hanno superato positivamente la verifica; b) una relazione sulla gestione dell’albo regionale delle cooperative sociali di sua competenza, sui rapporti convenzionali  delle stesse e sulle loro eventuali criticità.  

  • Capo III – Modalità di erogazione dei servizi da parte delle cooperative sociali: l’art. 12 riporta i principi3 che, assieme alle disposizioni della normativa statale e regionale in materia di contratti pubblici, regolano l’affidamento e l’esecuzione dei contratti pubblici di cui agli artt. 13, 1 comma, lett. c (affidamenti mediante procedura di gara ad evidenza pubblica), 15 e 16.

I successivi artt. da 13 a 15, invece, illustrano le modalità con cui viene affidata l’erogazione dei servizi alle cooperative sociali di tipo A e di tipo B – in quest’ultimo caso con riferimento ai contratti pubblici di importo inferiore alla soglia comunitaria prevista all’art. 35 del codice degli Appalti (d.lgs. 50/2016) – affermando l’impegno della Regione Toscana a favorire il coinvolgimento delle cooperative sociali e degli altri enti del terzo settore attraverso gli strumenti della co-programmazione, della co-progettazione e dell’accreditamento, in attuazione dell’art. 55 d.lgs. 117/20174 e provvede ad illustrare le finalità e i criteri direttivi degli stessi.

Infine, l’art. 16 introduce le clausole sociali di inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, fermo restando quanto già previsto dall’art. 50 d.lgs. 50/2016. Nello specifico, al primo comma, stabilisce che la Regione, gli enti dipendenti, le aziende e gli enti del servizio sanitario regionale, nell’ambito della programmazione degli acquisti di beni e servizi di cui alla normativa sui contratti pubblici, riservano una percentuale annua,  non inferiore al 3 per cento e non superiore all’8 per cento del valore complessivo annuo degli affidamenti attinenti ai servizi strumentali ad alta intensità di manodopera, per l’inserimento negli atti di gara di idonea clausola sociale per la tutela dei soggetti svantaggiati.

  • Capo IV – Consulta regionale sulla cooperazione sociale: gli artt. 18 e 19 illustrano la composizione e la funzione svolta dalla Consulta regionale sulla cooperazione sociale.
  • Capo V – Disposizioni finali: gli artt. da 20 a 22 contengono norme transitorie e indicano l’abrogazione della l.r. 87/1997 nonché quella di altri articoli relativi alla l.r. 38/2007 ed alla l.r. 21/2016.

NOTAL’approvazione da parte del Consiglio Regionale della l.r.58/2018 è stato un momento molto atteso dal mondo della cooperazione sociale in quanto, ormai da diversi anni, si era evidenziata la necessità di un aggiornamento della previgente normativa (l.r. 87/1997).

Già nel marzo 2018, durante la conferenza stampa con cui veniva illustrato il contenuto della proposta di legge, appena approvata dalla Giunta regionale, – oggi l.r. 58/2018 – l’assessore al diritto alla salute e al welfare Stefania Saccardi aveva affermato che tale legge avrebbe rappresentato “(..) una scelta forte che sta dietro l’idea di welfare che abbiamo in Regione Toscana, inclusione e non assistenzialismo, e la cooperazione sociale è il modo migliore per realizzare l’inclusione (..)”.

Le cooperative sociali, introdotte nel nostro ordinamento con la legge n. 381/91, hanno svolto e continuano a svolgere non soltanto una funzione di inclusione sociale in favore di soggetti svantaggiati ma rappresentano uno dei pochi strumenti di politiche attive che, soprattutto negli ultimi anni, è riuscito a dare sostegno oltre che alle categorie di soggetti svantaggiati anche ai c.d. nuovi poveri.

Le parole dell’assessore Saccardi sono condivisibili, soprattutto laddove, ancora oggi, si fa fatica a  comprendere che il lavoro serve agli individui per produrre reddito, ma anche sentirsi appagati, realizzati e utili.

Infatti, non dobbiamo dimenticare che il lavoro – nella nostra Costituzione – oltre che un diritto è anche, in qualche modo, un dovere5 in quanto rappresenta la modalità con cui l’individuo”partecipa e contribuisce alla vita sociale, lo strumento mediante il quale può realizzarsi il bene comune ed il comune progresso (..) perché la Nazione, per essere attiva e potente, ha bisogno che ciascuno lavori”6.   

La Regione Toscana è stata tra le prime regioni a recepire le novità introdotte con la recente riforma del Terzo Settore, ampliando la cooperazione sociale su due fronti: il primo relativo all’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate – denominata nella l.r. 58/2018 come cooperazione di tipo B – il secondo attinente alla gestione di servizi socio-sanitari, assistenziali ed educativi – denominata nella l.r. 58/2018 come cooperazione di tipo A.

La cooperazione sociale rappresenta una buona pratica di inclusione sociale che speriamo continui ad essere seguita a livello regionale e che possa essere d’ispirazione per le istituzioni nazionali.

(Legge regionale n. 58/2018 pubblicata sul BURT n. 50 del 09.11.2018)


1. Il principio di sussidiarietà – sancito all’interno dell’art. 118 della Costituzione – è il criterio di ripartizione delle funzioni e delle competenze amministrative all’interno dell’ordinamento giuridico. Esso si presenta in due articolazioni: sussidiarietà verticale ed orizzontale. La prima attiene alla distribuzione delle competenze amministrative tra i diversi livelli digoverno territoriale (es. tra UE e Stati membri oppure tra Stato, Regioni ed Autonomie locali). La seconda, invece, attiene al rapporto tra Autorità e collettività e consiste nell’affidamento ai privati, sia come singoli che associati, della cura dei bisogni collettivi e della gestione delle attività d’interesse generale, riservando ai pubblici poteri una funzione sussidiaria di programmazione, d’intervento e di gestione.
2. La l.r. 1/2015 ha il pregio di aver semplificato e razionalizzato la procedura e i tempi della programmazione regionale. La partecipazione della cooperazione sociale a detta attività di programmazione è assicurata da quanto stabilito dall’art. 3 l.r. 1/2015: ” 1. Il concorso dei soggetti istituzionali e la partecipazione delle parti sociali agli atti della programmazione regionale, si realizzano tramite procedure di concertazione o confronto, ai sensi dello Statuto e della presente legge. 2. La concertazione o il confronto si svolgono tra la Giunta regionale, le rappresentanze istituzionali, le parti sociali e le associazioni ambientaliste sulla base di specifici protocolli. La concertazione o il confronto, possono essere estesi ad altri soggetti direttamente interessati, sulla base di specifici protocolli. 3. Prima dell’avvio dei processi di concertazione o confronto su atti da sottoporre all’approvazione del Consiglio regionale, la Giunta regionale, ai sensi dell’articolo 48 dello Statuto, effettua un’informativa preliminare al Consiglio regionale, che può approvare specifici atti di indirizzo. La Giunta regionale riferisce al Consiglio regionale sugli esiti dei suddetti processi. 4. Le procedure di concertazione o confronto sono finalizzate alla ricerca di reciproche convergenze o alla verifica dei rispettivi orientamenti sull’individuazione e determinazione degli obiettivi e degli altri contenuti essenziali degli atti di programmazione previsti dalla presente legge, nonché alla definizione di modalità di cooperazione nella fase attuativa, eventualmente estesa ad altri soggetti. 5. La Regione può altresì attivare processi partecipativi, ai sensi della legge regionale in materia di partecipazione, al fine di consultare ulteriori soggetti, oltre a quelli di cui al comma 1, per integrare gli elementi di conoscenza finalizzati alla definizione dei contenuti degli atti di programmazione regionale. 6. Gli enti locali attivano procedure di concertazione o confronto, nonché eventuali processi partecipativi per gli atti di programmazione locale di rispettiva competenza, secondo i principi del presente articolo..
Tra gli strumenti della programmazione regionale richiamati dalla legge 1/2015, Capo II, si individuano: il Programma Regionale di Sviluppo (PRS), quale atto fondamentale di indirizzo della programmazione regionale (art. 7) e il Documento di Economia e Finanza Regionale (DEFR) con relativa nota integrativa quali strumenti per specificare gli indirizzi ed individuare gli interventi dell’anno successivo (art. 8).
3. A mero titolo esemplificativo vi rientrano, la salvaguardia della qualità del servizio, l’adeguatezza delle modalità di esecuzione dei servizi rispetto alle caratteristiche socio economiche del territorio degli enti titolari dei servizi etc.
4. L’art. 55 d.lgs. 117/2017 dice: “In attuazione dei principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell’amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare, le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2 d.lgs. 165/2001, nell’esercizio delle proprie funzioni programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività di cui all’art. 5, assicurano il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore, attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione e accreditamento poste in essere nel rispetto dei principi della legge del 07 agosto 1990 n.241, nonché le norme che disciplinano specifici procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona (…)”.
5. Cfr. V. Martinelli, Right or Duty to Work. Lavoro, welfare e politiche per l’occupazione tra House of Cards e le sfide del futuro, Edizioni ETS, Pisa, 2018.
6.Enunciato estratto dall’intervento dell’On. Colitto, Atti dell’Assemblea Costituente, Terza Sottocommissione, seduta del 09.09.46.