Commento

I BENI CULTURALI DI INTERESSE RELIGIOSO “BENI COMUNI”

a cura di Francesco Passaseo

21 Dicembre 2021

La peculiare funzione che i beni culturali di interesse religioso svolgono nel contesto religioso, culturale, e sociale della comunità umana consente di inquadrare gli stessi all’interno di categorie per così dire “nuove”, che considerano tali beni non più secondo il regime dell’appartenenza, ma secondo quello della loro fruibilità collettiva e dell’interesse generale. Questa visione, seppur a distanza di secoli e con una consapevolezza giuridica maggiore, ripercorre i contenuti della “rivoluzione” di Francesco d’Assisi, che per primo introdusse un modello alternativo d’intendere il rapporto tra uomo e beni. Avendo egli rifuggito l’accettazione di qualsivoglia forma di denaro e di acquisto dei beni, aveva finito per considerare i beni essenziali alla stregua di “beni comuni”, cioè beni indivisibili, in grado di arricchire chiunque per l’intero, ma non suscettibili di appropriazione da parte del singolo individuo1.


La categoria dei “beni comuni” è stata di recente riportata in auge in ambito civilistico, facendovi rientrare tutte le “cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona”. Si tratta di beni essenziali alla realizzazione dei c.d. diritti fondamentali “di ultima generazione”, scollegati dal paradigma sia individuale che autoritativo, ed ancorati ad una dimensione esclusivamente collettiva, che guarda alla funzione sociale dei beni oltre le logiche economiche dell’appartenenza2.


Nello specifico, i beni culturali di interesse religioso concorrono al soddisfacimento di una serie di diritti fondamentali, giacché è la stessa Costituzione a porre beni ed attività in favore della promozione della persona e della comunità3. In questo senso si pone il diritto allo svolgimento della personalità (art. 2 Cost.), che ogni persona umana realizza come individuo e come parte delle formazioni sociali, tra le quali rientrano anche quelle religiose che si servono dei beni culturali per svolgere la loro missione. I beni culturali religiosi concorrono poi alla realizzazione del diritto alla libertà religiosa (art. 19 Cost.), il quale riconosce alla persona la manifestazione di un bisogno, che può esercitare individualmente o in forma collettiva, come estrinsecazione di un sentire riverente e doveroso nei confronti del divino; concorrono, altresì, al riconoscimento della libertà dell’arte (art. 33 Cost.), che si configura come “libera espressione di valori, concreta manifestazione di un messaggio che l’artista vive, realizza e trasmette” nella realtà spazio-temporale in cui vive4. Alla libertà dell’arte si collega la libertà della cultura, intesa come libertà di creare cultura e di assimilare cultura. Questa richiede che sia riconosciuto a tutti il diritto di accedere liberamente alla stessa affinché tutti possano raggiungere una consapevolezza piena circa l’alto valore della propria identità culturale.


In tal contesto, si intende favorire il processo di inculturazione dell’uomo e investire quest’ultimo di un ruolo e di una responsabilità all’interno delle azioni che interessano il patrimonio culturale religioso, indipendentemente da chi lo detenga in proprietà. Soprattutto, si ritiene debba valorizzarsi il ruolo delle comunità locali che, nel corso del tempo, fruiscono, in senso religioso e culturale, di tali beni, al fine di mettere in campo azioni che tutelano non solo i beni in se stessi, in quanto espressione di valori storico-artistici, ma anche il loro rapporto col contesto in cui sono inseriti e con le persone che vivono in simbiosi con questi.

Il ruolo delle comunità locali, religiose e civili, è stato messo in evidenza dal Pontificio Consiglio della Cultura, il quale ha individuato nel coinvolgimento delle comunità locali, religiose e civili, all’interno dei processi di conoscenza e di decisione, un fondamentale momento per la pianificazione degli interventi di riuso degli edifici di culto, giacché “i beni culturali ecclesiastici costituiscono preminenti elementi di riconoscimento culturale e di aggregazione sociale, al di là del loro specifico contenuto liturgico o spirituale”. La comunità tutta, in collaborazione con i professionisti del settore culturale, è così investita di una vera e propria responsabilità nella cura del patrimonio culturale, e deve essere coinvolta nella “grave decisione” di destinare i luoghi di culto a nuove finalità, nella certezza che solo in questo modo vengono davvero tutelati i diversi valori in gioco5.

Anche la Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società6 si è preoccupata di riconoscere un ruolo attivo alle comunità locali all’interno dei processi che interessano il patrimonio culturale, rifiutando un approccio dominicale a quest’ultimo, e promuovendo il senso di responsabilità condivisa nei confronti di tale patrimonio. La Convenzione ha introdotto il concetto di “comunità patrimoniale”, riferendolo ad “un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici dell’eredità culturale, e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future” (art. 2, lett. b); ha poi delineato l’esistenza di un “diritto all’eredità culturale” (art. 4, lett. a), consistente in un diritto soggettivo e assoluto alla fruizione del patrimonio culturale e al suo arricchimento, prescindendo dal regime di proprietà pubblica o privata e da qualunque altro diritto reale o di godimento sul bene, con le sole limitazioni proprie di una società democratica derivanti dalla protezione dell’interesse pubblico e dei diritti e delle libertà altrui (art. 4, lett. c)7.


É evidente che al centro di tale riflessione “sono le persone e i valori umani: si ha cioè un implicito riconoscimento del fatto che il patrimonio culturale non costituisce un ‘valore in sé’, ma piuttosto un valore relazionale”, che si definisce nel rapporto con gli esseri umani i quali riconoscono storicamente questo valore, ne traggono vantaggio, e intendono trasmetterlo alle generazioni future8. Cosicché, nella gestione di questa eredità risulta fondamentale “sviluppare un quadro giuridico, finanziario e professionale che permetta l’azione congiunta di autorità pubbliche, esperti, proprietari, investitori, imprese, organizzazioni non governative e società civile” (art. 11, n. 2), affinché la valorizzazione e la fruizione del patrimonio culturale siano quanto più efficacemente realizzate.

A ragion veduta, lo stesso art. 9, comma secondo, della Costituzione Italiana, prevedendo che “la Repubblica […] tutela […] il patrimonio storico e artistico della Nazione” pone un impegno positivo non solo in capo ai pubblici poteri, ma più in generale nei confronti dello Stato-comunità9. L’oggetto della tutela non è, infatti, il patrimonio dello Stato-apparato, ma quello della Nazione, cioè dell’intera “comunità umana che si riconosce in una identità culturale che quel patrimonio esprime ed al tempo stesso rafforza e perpetua”. E tale comunità, che si articola in istituzioni, enti, gruppi, associazioni, di natura pubblica o privata, laica o religiosa, ha nella sua interezza il compito di salvaguardare il patrimonio e di regolamentare la materia10.


1 Sull’argomento L. BRUNI, L’analisi e la libera povertà francescana diede vero valore al denaro, 5 dicembre 2020, in https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/luigino-bruni-la-libera-poverta-francescana.
2 Così si esprime l’art. 1, comma 3, lett. c), della proposta di articolato formulata dalla Commissione Rodotà, istituita con decreto del Ministro della giustizia del 21 giugno 2007, al fine di elaborare uno schema di legge delega per la modifica delle norme del Codice civile in materia di beni pubblici. Il testo del progetto del disegno di legge delega e la relazione di accompagnamento sono consultabili in Politica del diritto, 2008, pp. 537 ss. L’elaborazione della categoria giuridica è sin’ora avvenuta solo sul piano concettuale, mancando un vero e proprio regime giuridico dei beni comuni. Sul tema si vedano U. MATTEI, Beni comuni, un manifesto, Laterza, Roma-Bari, 2011; S. SETTIS, Azione popolare. Cittadini per il bene comune, Einaudi, Torino, 2012; A. DI PORTO, Res in usu publico e ‘beni comuni’, Giappichelli, Torino, 2013; N. GENGA, M. PROSPERO, G. TEODORO (a cura di), I beni comuni tra costituzionalismo e ideologia, Giappichelli, Torino, 2014; F. VIOLA, Beni comuni e bene comune, in Diritto e Società, 2016, pp. 381 ss.
3 Sull’argomento F. PETRONCELLI HUBLER, I beni culturali religiosi. Quali prospettive di tutela, Jovene, Napoli, 1996, pp. 142 ss.; M. AURIEMMA, Solidarietà, cultura e beni comuni nell’art. 9 della Costituzione, in I beni comuni tra costituzionalismo e ideologia, cit., pp. 149 ss.
4 Cfr. F. PETRONCELLI HUBLER, I beni culturali religiosi. Quali prospettive di tutela, cit., pp. 142 ss.
5 Cfr. PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA, La dismissione e il riuso ecclesiale di chiese, linee guida, La dismissione e il riuso ecclesiale di chiese, linee guida, Città del Vaticano, 17 dicembre 2018, in F. CAPANNI (a cura di), Dio non abita più qui? Dismissione di luoghi di culto e gestione integrata dei beni culturali ecclesiastici, Atti del Convegno internazionale promosso dalla Pontificia Università Gregoriana in collaborazione con il Pontificio Consiglio della Cultura e l’Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto, Artemide, Roma, 2019, pp. 258 ss.
6 Cfr. CONSIGLIO D’EUROPA, Convenzione quadro sul valore dell’eredità culturale per la società, (CETS n. 199), Faro, 27.X.2005. Tale Convenzione, pure nota come Convenzione di Faro, è stata sottoscritta dall’Italia nel 2013, e ratificata da quest’ultima con legge 1° ottobre 2020, n. 133. Il testo è consultabile in https://www.senato.it, pp. 13 ss. Per un commento si veda D. MANACORDA, La Convenzione di Faro e la tradizione culturale italiana, in P. L. FELICIATI (a cura di), La valorizzazione dell’eredità culturale in Italia. Atti del convegno (Macerata, 5-6 novembre 2015), pubblicati in Il Capitale culturale, edizioni Università di Macerata, 2016, pp. 28 ss.
7 Così A. GUALDANI, L’Italia ratifica la convenzione di Faro, in Aedon, Rivista di arti e diritto on-line, 2020, pp. 4-5.
8 Così D. MANACORDA, Patrimonio culturale: un diritto collettivo, in R. AURIEMMA (a cura di), La democrazia della conoscenza. Patrimoni culturali, sistemi informativi e open data: accesso libero ai beni comuni?, Atti del convegno (Trieste 28-29 gennaio 2016), Forum, Udine, 2017, pp. 118-119.
9 Il termine “Repubblica”, più volte ricorrente nel testo costituzionale, è stato oggetto di estesi dibattiti. Non sempre è utilizzato nel medesimo significato: talvolta, esso è impiegato per riferirsi a ciò che, nel linguaggio giuridico, si definisce Stato-persona o Stato-apparato, intendendo il governo centrale; altre volte, si usa per riferirsi allo Stato-ordinamento, ossia allo Stato in tutte le articolazioni territoriali che lo compongono. Cfr. C. BARBATI, Organizzazione e soggetti, in C. BARBATI, M. CAMMELLI, L. CASINI, G. PIPERATA, G. SCIULLO, Diritto del patrimonio culturale, Il Mulino, Bologna, 2017, p. 67.
10 Così G. DALLA TORRE, Lezioni di diritto ecclesiastico, Giappichelli, Torino, 2014, pp. 308 ss.