Commento

IL CROCIFISSO NELLE AULE SCOLASTICHE: LA PAROLA ALLE SEZIONI UNITE DELLA CASSAZIONE

a cura di Pierluigi Consorti

16 Ottobre 2021

Commento alla sentenza n. 24414/2021

Per inquadrare gli aspetti giuridicamente più rilevanti della sentenza in commento, è necessario chiarire i termini della questione, depurandoli da elementi ideologici o politici. 

In primo luogo, ricordo che la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche è prevista in un Regolamento del 1924, che lo menzionava nell’elenco degli arredi scolastici delle scuole elementari. Dal punto di vista simbolico, il crocifisso si accompagnava al ritratto del re. L’Italia era uno Stato confessionista, e re e crocifisso simboleggiavano l’unione di Stato e Chiesa. 

La Costituzione modifica sostanzialmente questo quadro. La separazione fra Stato e confessioni religiose ha portato la Corte costituzionale a dichiarare nel 1989 la laicità quale principio supremo dell’ordinamento costituzionale, perciò la presenza dei simboli religiosi negli spazi pubblici deve restare coerente con questo principio. 

La giurisprudenza italiana ha fatto molti sforzi per trovare un equilibrio in questa direzione. Nel 2006 una sentenza del Consiglio di Stato ha precisato che il valore di un simbolo dipende dal contesto in cui si trova e dallo sguardo di chi lo vede. Pertanto, un crocifisso è un simbolo religioso quando è esposto in un luogo di culto, o agli occhi di un credente, ma può avere altri significati quando sia guardato da non credenti o collocato in spazi non religiosi. Seguendo questo ragionamento si è ammessa la presenza del crocifisso nelle scuole italiane, in quanto nelle aule questo non è necessariamente un simbolo religioso, anzi esprime valori civili e persino laici. Nel 2000 la Corte di cassazione ha però sentenziato che quando le aule scolastiche diventano sede di seggi elettorali, il crocifisso va tolto.

La sua esposizione nelle scuole è stata spesso oggetto di reclami. Sul punto è anche intervenuta la Corte europea dei diritti dell’uomo, che nel 2009 dette ragione alla ricorrente, dubitando della bontà giuridica del ragionamento dei giudici italiani che consideravano il crocifisso nelle scuole un simbolo laico e non religioso, ma poi nel 2011 la stessa Corte accordò il cosiddetto «margine di apprezzamento», e dichiarò di non poter interferire con la tradizione di uno Stato membro, e quindi convenne che la presenza del crocifisso – che nelle scuole italiane non ha valore religioso, ma laico  – non comportava una lesione dei diritti lamentata dalla ricorrente. 

Il caso attuale si innesta su questo quadro ancora problematico. Nasce da un ricorso mosso da un docente che era stato sanzionato dal Dirigente scolastico perché toglieva il crocifisso ogni volta che entrava in aula, per poi rimetterlo a posto quando usciva. Questo docente ha ritenuto che le sanzioni inflittegli fossero discriminatorie e ha chiesto il risarcimento del danno subito. La Corte di cassazione si è espressa con una decisione complessa e ben articolata, che tocca diversi profili.

Innanzitutto, ha dichiarato che l’esposizione obbligatoria del crocifisso nelle aule scolastiche contrasta col principio di laicità. Perciò l’autorità scolastica non può imporne l’affissione, e infatti considera decaduti i provvedimenti disciplinari adottati contro il docente che aveva fatto ricorso. 

Tuttavia, la Corte ha anche ritenuto di doversi fare carico di un’interpretazione «mite» della questione e, considerando la posta in gioco, ha proposto un «accomodamento ragionevole», secondo il quale se gli studenti chiedono di esporre il crocifisso nelle proprie aule, l’autorità scolastica dovrebbe avviare un processo partecipativo che prenda in considerazione tutte le sensibilità presenti, ed eventualmente accordare questa possibilità. In tal caso, l’esposizione del crocifisso non sarebbe discriminatoria. Al tempo stesso la Corte ha chiarito che questi processi partecipativi possano sia escludere l’affissione del crocifisso, sia portare all’esposizione di altri simboli. Per tutti – crocifisso compreso – vale il limite della loro passività. In altre parole, l’esposizione è condizionata alla perdita del valore religiosamente simbolico. 

Due osservazioni conclusive. 

La prima per esprimere un po’ di amarezza per la perdita del valore religioso del crocifisso. Non sono convinto che sia stato utile barattarlo in cambio della presenza nelle aule. 

La seconda riguarda la scarsa applicabilità di questa sentenza. Che in pratica appare più politica che giuridica. Attribuire la decisione agli studenti e subordinarla all’esito di un processo partecipativo è senz’altro un’ipotesi suggestiva, ma può valere solo per le scuole superiori. Che fare con i bambini delle elementari e i ragazzi delle medie? La sentenza menziona la partecipazione di «tutti i soggetti coinvolti», ma non li individua: ad esempio, quale sarà il ruolo dei genitori o dei docenti? Ma soprattutto, temo che la «ricerca del più ampio consenso» si ridurrà a mere votazioni, e affidarsi al potere della maggioranza è democratico, ma non mite né laico. Nel proporre un accomodamento ragionevole la Corte indica una direzione praticabile, ma i dubbi restano.