IL LAVORO UMANO SECONDO GIORGIO LA PIRA
a cura di Antonio Zizza
24 Giugno 2023
Ciascun essere umano possiede una naturale inclinazione a svolgere un’attività lavorativa, cooperando alla realizzazione del bene personale, familiare e comunitario. Non è vero che una stessa mansione possa essere egualmente svolta da individui differenti: ognuno, con le sue caratteristiche rende il momento lavorativo un atto singolare, irripetibile e quindi proprio della persona. L’occupazione non deve essere concepita come una “penosa” via crucis, bensì l’adempimento ad una chiamata.
D’altronde, una qualsivoglia società si fonda sul contributo di ogni membro che la compone, indistintamente dal genere, dai titoli accademici, dal paese di provenienza o dalla condizione fisica. Costruire una casa comune cristianamente ispirata significa tener conto della partecipazione di ognuno al benessere materiale e spirituale della societas: perciò le nostre città necessitano, contro una cultura talvolta individualista e globalmente influenzabile, dell’agricoltore come del medico, del commerciante come dello scultore, del ricercatore come dell’insegnante, e così via. Abbiamo cioè bisogno di autentiche comunità di persone che, per mezzo della loro opera, partecipano all’edificazione sociale, economica e religiosa della civitas.
Per questa fondamentale ragione, Giorgio La Pira, in uno degli scritti più incisivi, L’Attesa della povera gente, definisce il lavoro un atto creativo dell’uomo, l’unico capace di procurargli una gioia tale da essere quasi, per noi credenti, commisurata a quella della preghiera. Mediante l’attività, l’uomo concorre, infatti, insieme a Dio, alla custodia del creato.
Il lavoro completa la persona: esso non è semplicemente un modo per soddisfare i bisogni materiali o, come alcuni erroneamente lo intendono, una condanna divina, quanto piuttosto un mezzo efficace per rivelare le caratteristiche più singolari di ogni persona creata ad imago Dei: pertanto, ricorda il professor La Pira, si ha bisogno di lavorare perché è la struttura dell’essere persona che «è così fatta da non potersi espandere e perfezionare se non lavorando, cioè ponendo nell’esistenza cose che prima dell’intervento del lavoro umano non erano esistenti»1.
Nonostante tali affermazioni, occorre osservare che nell’epoca contemporanea il mercato del lavoro, aggravato dalle conseguenze socio-economiche della pandemia e da un susseguirsi di emergenze umanitarie, subisce una sorta di metamorfosi, con ripercussioni non solo sotto il profilo finanziario e giuridico, ma anche sociale e morale. Le crisi attuali, unite a politiche manageriali che mirano ad ottenere il beneficio di pochi a discapito dei molti, generano contratti di lavoro atipici, flessibili, poco dignitosi ed il più delle volte non conformi ad un equo tenore di vita. Oltre al fenomeno della disoccupazione che colpisce principalmente donne, giovani e migranti, assai più diffuso è il cosiddetto lavoro povero2.
Nella prospettiva del Sindaco Santo ogni buon governo, a cominciare dall’amministrazione locale sino ai livelli più alti delle istituzioni, ha l’onere di garantire a ciascuno una casa, un pasto, un lavoro conforme alle proprie inclinazioni e al soddisfacimento della vita personale e familiare: bisogna dunque «elevare tutti gli uomini ad un livello di vita proporzionato alla dignità della persona umana; [Bisogna altresì] eliminare la disoccupazione e la sottoccupazione; espandere la produzione industriale e quella agricola; elevare i redditi sino al livello della sufficienza […]; dare a tutti un minimo di sicurezza sociale»3. La Pira comprende bene che solo raggiungendo la piena occupazione, si riesce a contrastare il fenomeno delle povertà.
Di contro, la disoccupazione e la sottoccupazione costituiscono un male per la società, sia in termini morali che economici. Una persona che non lavora o che, pur lavorando non è in grado di provvedere a sé stessa e alla propria famiglia, non solo è una spesa per la comunità, ma è uno sperpero di forze produttive. Nella concezione del Nostro, se tutti i disoccupati venissero dignitosamente impiegati, genererebbero nuovo lavoro, contribuendo così al progresso materiale e spirituale della civitas. Lo stesso discorso si può ripetere per i precari o per i lavoratori poveri.
Ecco perché La Pira nel corso del suo apostolato politico e sociale, specie durante gli anni municipali a Firenze, impegna tutte le proprie energie, ricorrendo ad ogni mezzo che l’amore suggerisce e la ragione realizza, per salvare le industrie, creare nuovi posti di lavoro, garantire a ciascuno la possibilità di mettere a frutto i propri talenti e ottenere così, non solo un salario sufficiente a vivere, ma il raggiungimento di quella pace interiore unita alla consapevolezza di aver contribuito a costruire una città più solidale e quindi più fraterna. Evidenziamo, a mo’ di esempio, la volontà di introdurre nell’amministrazione fiorentina del secondo dopoguerra i cantieri di lavoro, utili, per quanto transitori, nell’occupare cittadini per alcune ore del giorno e assicurare loro un minimo di salario, senza per questo ricorrere all’assistenzialismo. Impiegare le persone in opere pubbliche, come la costruzione di una scuola o la manutenzione di una strada, è una misura tutt’ora proponibile, con conseguenze sia sul singolo che sull’intero corpo sociale. In definitiva, la testimonianza del Sindaco Santo ci sia da sprone nella creazione di una vera e propria cultura del lavoro, capace cioè di riportare al centro la persona lavoratrice, un essere ontologicamente irripetibile e in perenne sviluppo. Bisogna perciò comprendere che, anche in relazione all’occupazione, «l’uomo ha valore di fine e non di mezzo perché la natura dell’uomo è spirituale e trascende, quindi, tutti i valori del tempo»4.
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- G. La Pira, L’attesa della povera gente, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1978, p. 62. ↩︎
- Per un approfondimento si rimanda allo studio condotto dalle Acli Nazionale, Lavorare pari, Roma 2023, in www.acli.it ↩︎
- G. La Pira, L’attesa della povera gente, cit., p. 13. ↩︎
- Id., Relazione del deputato Giorgio La Pira, in N. Giordano (a cura di), Giorgio La Pira e la Costituzione. Relazioni e interventi nell’Assemblea Costituente, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2016, p. 17. ↩︎