Commento

NUOVI VOLTI DELLA POVERTÀ

a cura di Martina Lumini

16 Marzo 2019

Facciamo rete per sostenere chi rischia di scivolare ai margini della società

In un tempo di pericolose semplificazioni e avventate generalizzazioni portate avanti dai mass media e dalla politica, in un clima sempre più caratterizzato da non-accoglienza ed insicurezza, Caritas, nella sua prevalente funzione pedagogica, può fornire una lettura veritiera dei fenomeni ponendosi come sana ed intelligente alternativa cercando di riportare al centro coloro che vivono ai margini della società e far sentire la loro voce.
L’osservazione che i nostri centri di ascolto portano avanti ci restituisce non solo i numeri, ma gli sguardi attenti e prossimi dei tanti operatori e volontari che, ogni giorno, si impegnano affinché “non sia dato per carità ciò che è dovuto per giustizia”.
L’ascolto che si realizza in un centro Caritas non è solo una strategia operativa funzionale a stabilire una relazione di aiuto, ma risponde ad una precisa visione antropologica; è un modo di guardare l’altro che sa riconoscere e suscitare la profonda dignità di ogni persona, che ne riconosce i desideri di felicità oltre al bisogno concreto, rafforzando quelle risorse che ognuno porta con sé anche nei momenti più faticosi della vita.
Quello che Caritas cerca di portare avanti è una presa in carico integrata ed un sostegno alle potenzialità; ogni giorno incontra volti, storie, approfondisce gli incontri, non si limita alla raccolta ed all’osservazione dei numeri/dati, ma indaga la complessità dei fenomeni in sinergia costante con gli altri attori del territorio (servizi sociali, Centri per l’Impiego, istituzioni).

Cosa ci raccontano i dati
1) “La Toscana resiste meglio!”

La povertà risulta in leggera crescita: le Caritas della Toscana nel 2017 hanno incontrato 24.836 persone, il 7,7% in più rispetto al 2016. In termini percentuali l’incremento maggiore si è registrato per la componente italiana rispetto a quella immigrata (+11,5% contro il +5,7%). Sebbene gli accessi ai nostri punti di ascolto siano aumentati, passando dal 3,2% al 3,8%, i dati sulla povertà assoluta sono i più bassi d’Italia e la Toscana pare reagire meglio del resto d’Italia in termini di “tenuta negli anni di crisi”. Purtroppo il gap con l’Europa risulta ancora grande ed il fenomeno delle povertà necessita sempre più di risposte pluri-livello. Risulta, pertanto, di fondamentale importanza massimizzare lo scambio dei dati e l’integrazione delle politiche in modo da poter realizzare una “presa in carico policentrica” di coloro che si rivolgono ai nostri centri di ascolto.

2) Rischio “cronicizzazione della povertà”
I dati che emergono a livello nazionale confermano che il numero medio di incontri per persona è passato da 3,2% (2007) al 6,6% (2017, +106%) segno evidente della maggiore complessità delle storie incontrate alla quale dovrebbe corrispondere, se si vuole ottenere una maggiore efficacia degli interventi ed una minore cronicizzazione delle situazioni di povertà incontrate, una multidimensionalità della presa in carico. Per quanto riguarda i dati che emergono per la Toscana, le situazioni a “rischio di cronicizzazione” sono state 9.433 (ca. un terzo, 33,5% di tutte le persone incontrate); le persone in condizione di “povertà cronica” cioè conosciute da almeno 6 anni” risultano più numerose di coloro che abbiamo incontrato per la prima volta (28,7%). La distribuzione per classi di età e quella per stato civile non denota particolari scostamenti dalle tendenze mentre il livello di istruzione conferma una maggiore esposizione al “rischio povertà” per coloro che hanno bassi titoli di studio.

3) Il lavoro non basta!
I dati raccolti evidenziano che anche coloro che lavorano non riescono a far fronte alle spese minime e sono costretti a rivolgersi ai centri di ascolto. L’emergenza lavorativa resta una delle cause principali della povertà (ca. il 70% delle persone incontrate non ha un lavoro), ma il dato di maggior rilievo è che anche coloro che lavorano e/o hanno un reddito sono a rischio povertà e sempre più frequentemente si rivolgono ai centri di ascolto (18,5%) o ai servizi pubblici per vivere dignitosamente.

4) La frantumazione dei nuclei familiari
Un altro dato che emerge è la “frantumazione delle famiglie”. Oltre alle famiglie numerose, infatti, le persone incontrate dai nostri CdA sono spesso quelle appartenenti a famiglie disgregate: 30.3% di essi è separato/a, divorziato/a o vedovo/a. Nel nostro Paese la composizione dei nuclei familiari si sta modificando ed uno dei rischi ai quali andremo incontro nel futuro sarà una diminuzione costante del “salvagente familiare” in termini relazionali, di supporto economico e di stabilità abitativa.

5) Problema abitativo
I problemi legati all’abitazione rimangono un fenomeno molto diffuso, in costante aumento (14% delle persone incontrate nel 2017) e spesso strettamente collegati ad altri fattori di povertà. Rispetto al 2016 sono diminuiti coloro che hanno una situazione abitativa stabile (da 61 a 47,9%), sono aumentati significativamente coloro che hanno un alloggio provvisorio (da 24,4 a 33,5%) e soprattutto coloro che si trovano in una situazione di vera e propria marginalità abitativa (da 14,6 a 18,6%). Questo fenomeno è la conseguenza della vistosa riduzione di coloro che vivono in affitto, sia a canoni di mercato (da 41,9 a 32,1%) sia in case di edilizia residenziale pubblica (da 10,1 a 5,6%).

6) Povertà educativa adulta
Un elemento di particolare importanza, rilevato sia a livello nazionale che regionale, è il fatto che la povertà grave è collegata, soprattutto per la componente italiana, al basso titolo di studio (oltre il 60% degli italiani incontrati hanno un titolo di studio uguale o inferiore alla licenza media). La povertà educativa adulta genera una diminuzione delle opportunità lavorative (conseguentemente una minor possibilità di avere un’abitazione stabile) ed è spesso accompagnata alla povertà relazionale. Esiste una stretta connessione tra istruzione e cronicità della povertà: coloro che hanno un titolo di studio basso o medio-basso oltre a cadere più facilmente in uno stato di bisogno, corrono anche il rischio di vivere una situazione di povertà cronica non risolvibile in poco tempo.

La condizione occupazionale risulta in stretta correlazione con il tema dell’istruzione. Un ulteriore elemento preoccupante, legato alla povertà educativa adulta, è che essa pare trasmettersi di generazione in generazione: essa rimane, in Italia, un fenomeno principalmente ereditario, che riguarda in gran parte famiglie colpite dalla tradizionale povertà socio-economica.
Evidenti sono le ripercussioni sul c.d. “capitale sociale”, cioè la trama di relazioni e di legami familiari e fiduciari che, spesso, costituisce risorsa preziosa nelle situazioni di difficoltà. Questo è dimostrato dal fatto che ben un quarto (25,4%) di degli adulti in condizione di povertà educativa vive da solo e il 7,4% in strutture d’accoglienza. Per quanto riguarda invece il fatto oltre la metà (55,6%) degli adulti in povertà educativa viva in famiglia è necessario tenere ben presente la natura ambivalente di questa informazione: se da un lato, infatti, il nucleo familiare è una risorsa preziosa con cui condividere le fatiche quotidiane, dall’altro si può affermare che le difficoltà di un membro del nucleo spesso si riverberano sui congiunti più stretti (specie se si tratta, come nel nostro caso, di un adulto) rischiando di alimentare una “catena della povertà educativa” in cui le opportunità che padri e madri non hanno avuto rischiano di ricadere, a cascata, sui figli.
L’analisi dei dati, con riferimento alla Toscana, sembrano confermare in modo chiaro la stretta correlazione fra povertà educativa e c.d. “carriere di povertà”, un tema che non concerne solo il futuro prossimo del nostro Paese, con riferimento alle conseguenze della mancanza di opportunità per i tanti bambini in condizione di povertà che vivono nei nostri territori, ma riguarda anche e in misura tutt’altro che secondaria l’Italia, e la Toscana, del presente: anche i dati della Caritas toscane, infatti, confermano come gli adulti in condizione di povertà di oggi sono, in misura molto significativa, i bambini poveri di ieri, ossia quei minori che in passato hanno sperimentato sul loro vissuto la deprivazione di opportunità e possibilità. Quali interventi mettere in campo per rompere quella catena della “povertà educativa” che rischia di tramandarsi di padre in figlio quasi senza soluzione di continuità? Prevenire e cercare di intervenire nei circuiti scolastici, nei quali Caritas da anni è impegnata, potrebbe essere una strada percorribile. Un altro elemento che appare fondamentale è il lavoro il stretta collaborazione con le istituzioni, con i servizi pubblici territoriali e con gli altri enti del terzo settore presenti sul territorio.

CONCLUSIONI: uno sguardo al domani
Caritas è un organismo pastorale che, consapevole delle cause e delle dimensioni dei fenomeni, vuole educare alla carità, educare le comunità cristiane alla solidarietà, a farsi vicina a coloro che sono nel bisogno in un’ottica sempre pedagogica e mai di solo assistenzialismo. Non si devono creare relazioni di dipendenza, ma dar vita a percorsi di autonomia. Per sconfiggere esclusione, emarginazione, realizzare una vera inclusione ed una reale integrazione è necessario un approccio sociale complessivo che sia in grado di rispondere alla complessificazione del fenomeno della povertà.
Se guardiamo le problematiche e/o le richieste formulate durante il colloquio presso il centro di ascolto il quadro che emerge denota una sempre maggiore multidimensionalità della povertà: se restano preponderanti i problemi economici (56,2% delle richieste), seguiti dalle problematiche collegate all’occupazione (17,4%) ed all’abitare difficile (6,9%), molti degli utenti dichiarano di avere problematiche di natura familiare (8,9%), specchio di quella situazione di frammentazione relazionale poc’anzi descritta, e problemi di salute (5,9%).
Per quanto riguarda le prospettive future, dobbiamo evitare tutti gli errori che rischiano di utilizzare in maniera non efficace le risorse e di compromettere l’idea stessa di lotta alla povertà. E’ necessario investire in crescita e responsabilità dei beneficiari provando a garantirgli quegli strumenti necessari per tornare a camminare sulle proprie gambe.
Per quanto concerne il tema della povertà educativa pensiamo che sia necessario attivarsi per incrementare e/o potenziare tutti quegli strumenti che permettono di invertire il trend in corso andando, per esempio, ad intervenire nelle scuole per prevenire la trasmissione intergenerazionale della povertà educativa ed evitare che quei bambini che vivono in situazioni di marginalità siano destinati a restare intrappolati nella povertà fornendo loro quegli elementi necessari ad acquisire capitale relazionale ed educativo sufficiente a diventare cittadini liberi ed autonomi nelle nostre comunità del domani.


La povertà dei poveri non si misura a pane, a casa, a caldo. Si misura sul grado di cultura e sulla
funzione sociale […] La distinzione in classi sociali non si può, dunque, fare sull’imponibile catastale,
ma sui valori culturali

(Don Lorenzo Milani, 1957)


La complessità dei fenomeni di povertà che le persone incontrano, la fatica dei loro percorsi, il protrarsi delle loro situazioni di solitudine, impone un ripensamento complessivo del nostro welfare.
E’ necessario dotarsi di risposte sistematiche, plurali, multi-target. La nostra società ci chiede risposte innovative, uno stile nuovo di ascolto e di presa in carico, che interroga nel profondo l’agire dei servizi sociali territoriali, il sistema sanitario e anche e soprattutto dei nostri centri di ascolto.
Come cristiani sappiamo che, se non possiamo eliminare la povertà, dobbiamo ridare dignità al povero e provare a rispettare l’imperativo scritto nella nostra Costituzione: “rimuovere gli ostacoli […] che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Con uno stile diverso, che consenta ai poveri di dire la loro e di partecipare attivamente come soggetti pienamente coinvolti nei percorsi di riscatto dalle situazioni di fragilità, potremo andare verso una nuova comunità, capace di leggere e di accogliere, di rimanere accanto e di sostenere, di incoraggiare, di attingere ai tesori nascosti che ogni vulnerabilità porta in sé, di costruire scenari di inclusione e di relazione nuova.
Siamo convinti che questa sfida si colga insieme: in questo senso, la politica è chiamata ad un’interlocuzione seria e accorta con il volontariato e il terzo settore. Non si tratta solo di arginare i fenomeni di esclusione, ma di rifondare il nostro abitare i territori in modo che i processi di inclusione degli ultimi divengano opportunità di crescita per tutto il tessuto sociale.