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PARTECIPAZIONE ALLE POLITICHE DELL’UNIONE EUROPEA

a cura di Redazione Ogl Toscana

16 Febbraio 2020

Legge regionale

In data 10.01.20 è stata pubblicata sul BURT la legge regionale n. 82/2019 in tema di “Partecipazione della Regione Toscana alle politiche dell’Unione Europea. Modifiche alla l.r. 26/2009” che prende le mosse dalla p.d.l. n. 386/2019 presentata dalla Commissione Politiche Europee e Affari Internazionali.

La presente legge apporta alcune modifiche alla normativa vigente, contenuta nella l.r. 26/2009 “Disciplina delle attività europee e di rilievo internazionale della Regione Toscana”: in particolare, con essa il Consiglio Regionale ha dato attuazione alla risoluzione n. 153 del 20171 con cui lo stesso si era impegnato ad introdurre la sessione europea tra le attività del Consiglio.

Prima di analizzare nel dettaglio la l.r. 82/2019, è utile portare alla mente il lento percorso che ha portato le Regioni ad acquisire un ruolo attivo all’interno dell’ordinamento europeo.

Inizialmente, le istituzioni europee mostrarono una certa miopia nei confronti delle politiche comunitarie regionale, non vedendo nelle politiche comunitarie regionali uno strumento importante per il perseguimento dell’integrazione europea. Infatti, nonostante esistessero squilibri economici e sociali tra le realtà interne dei singoli Paesi membri, si ritenne opportuno lasciare che fossero i singoli Stati – in autonomia – ad occuparsi delle problematiche collegate ai divari regionali2

In tal senso deve essere letto il riferimento contenuto nel preambolo del Trattato istitutivo della CEE del 19573, nel quale si afferma la volontà di tutti gli Stati Membri di “(..) rafforzare l’unità delle loro economie e di assicurarne lo sviluppo armonioso riducendo le disparità fra le differenti regioni e il ritardo di quelle meno favorite(..)”

Con il passare degli anni, e soprattutto con l’ingresso di nuovi Stati membri nella Comunità4, ci si accorse che gli squilibri regionali rappresentavano un ostacolo non solo alla realizzazione del mercato unico europeo ma anche alla realizzazione di un integrazione tra gli Stati stessi.

Durante la Conferenza di Parigi del 1972, gli Stati membri iniziarorono a maturare l’idea della necessità di iniziare a coordinare le proprie politiche regionali e nazionali, chiedendo alle istituzioni europee un sostegno in tal senso5: con il Regolamento n. 724/1975 venne istituito il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, destinato ad essere utilizzato quale strumento finanziario europeo per ridurre e/o risanare gli squilibri economici e sociali presenti nelle varie realtà regionali della Comunità. 

Da questo momento si iniziano ad intravedere le prime politiche comunitarie regionali.

Negli anni successivi, la Comunità ha continuato ad ampliare le proprie aree di competenza, palesando un deficit di legittimazione democratica sempre più evidente: la costruzione piramidale della Comunità che vedeva al vertice le istituzioni europee, poi gli Stati Membri, quindi le Regioni ed infine i cittadini europei, rendeva la Comunità sempre più lontana dai cittadini europei6.

Con il Trattato di Maastricht7, che istituì l’Unione Europea, si è riconosciuto, per la prima volta, un ruolo politico-istituzionale alle Regioni e al contempo si è cercato di avvicinare la Comunità ai propri cittadini: si è assistito in primis, all’istituzione del Comitato delle Regioni europee e, in secondo luogo, al riconoscimento del principio di sussidiarietà8, quale strumento di delimitazione delle competenze devolute dagli Stati membri alle istituzioni europee.

Il successivo Trattato di Lisbona ha ulteriormente perseguito l’intento di avvicinare i cittadini alla direzione e alle politiche dell’UE, in particolare attraverso: – l’ampliamento dei poteri riconosciuti al Parlamento europeo che, si ricorda, è l’unica istituzione europea eletta direttamente dai cittadini; – la riformulazione del principio di sussidiarietà che coinvolge espressamente anche le regioni e gli enti locali9; – rafforzamento del ruolo del Comitato delle Regioni10; – l’introduzione della coesione territoriale quale obiettivo dell’Unione11.

Inoltre, si rileva che il Protocollo 2, annesso al Trattato di Lisbona, ha introdotto il c.d. early warning system12 ossia una particolare procedura che coinvolge i parlamenti nazionali (tramite pareri) e, laddove dotati di potere legislativo, quelli regionali (tramite consultazioni ad opera dei primi) sul rispetto del principio di sussidiarietà all’interno dell’iter legislativo europeo.

Sul piano della normativa nazionale abbiamo assistito – anche in questo caso – ad una evoluzione del ruolo delle Regioni all’interno dell’ordinamento statale. 

Se prima del 2001 le competenze esclusive dello Stato venivano individuate in tutte quelle materie non espressamente conferite alle Regioni dal vecchio testo dell’art. 117 Cost., dopo la riforma, al contrario, il nuovo testo dello stesso articolo afferma, innanzitutto che “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni (..)” dopodiché procede ad una precisa elencazione delle materie di competenza esclusiva dello Stato (comma 2), lasciando alle Regioni una competenza residuale: in particolare, il predetto articolo afferma che “(..) nelle materie di legislazione concorrente (..)” e “(..) in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato (..)” la potestà legislativa spetta alle Regioni. Tra esse emerge quella relativa ai “(..) rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni (..)”.

La riforma costituzionale del 2001, che ha interessato il Titolo V della Carta costituente – legge cost. 3/2001 – ha riconosciuto, per la prima volta, un ruolo europeo alle Regioni, prevedendo una loro partecipazione sia nella formazione (fase ascendente13) che nella attuazione del diritto comunitario (fase discendente14), il tutto nel rispetto delle norme di procedura stabilite dalla legge dello Stato (Art. 117, comma 5 Cost.).

Il passo successivo è rappresentato dall’emanazione di quelle “norme di procedura stabilite dalla legge dello Stato”, richiamate dall’art. 117, comma 5 Cost., necessarie per definire le procedure e gli adempimenti a cui le Regioni avrebbero dovuto attenersi per l’esercizio delle proprie competenze in materia di rapporti internazionali e con l’UE: l’attuazione delle disposizioni costituzionali, pertanto, è iniziata con la l. n. 131/2003 (in particolare con gli artt. 515 e 816) e con la l. 11/200517 per poi proseguire con l’emanazione dei regolamento previsti all’art. 2 della l. 11/2005 ed infine concludersi con l’accordo di cooperazione18 sottoscritto in sede di Conferenza Stato-Regione nel 2006. 

Successivamente, a seguito delle novità apportate nell’ordinamento europeo dal Trattato di Lisbona, si avvertì, a livello nazionale, la necessità di rimettere mano alla normativa poc’anzi richiamata attraverso l’adozione della l. 234/2012. Essa ha consentito di modificare il sistema vigente sotto due aspetti: a) modalità di controllo sul rispetto del principio di sussidiarietà e proporzionalità; b) incremento della partecipazione del Parlamento, del Governo, delle Regioni e delle autonomie locali nella fase ascendente e discendente del diritto europeo19.

Ai fini della nostra analisi, è utile richiamare brevemente alcuni articoli della l. n. 234/2012, nello specifico:

– Gli artt. 24 e 25 (fase ascendente) definiscono le modalità con cui le Regioni e le Province autonome partecipano alla formazione degli atti normativi dell’Unione europea e con cui devono essere svolti i controlli circa il rispetto del principio di sussidiarietà da parte delle assemblee, dei consigli regionali e delle province autonome;

– L’art. 40 (fase discendente) stabilisce, invece, le modalità con cui le Regioni e le Province autonome procedono al recepimento delle direttive europee. 

A livello regionale, i rapporti con l’Europa sono regolati dallo Statuto regionale, nel quale si legge che “(..) Gli organi di governo e il consiglio partecipano, nei modi previsti dalla legge, alle decisioni dirette alla formazione e attuazione degli atti comunitari nelle materie di competenza regionale(..)20” e dalla l.r. n. 26/2009 con cui la Regione ha adeguato la propria normativa a quella europea assicurando “(..) maggiore efficacia all’azione regionale attraverso uno strumento legislativo unico (..) e la ridefinizione degli strumenti e delle procedure attraverso i quali la Regione esercita le attività (..)” europee e di rilievo internazionale.

Alla luce del quadro normativo sopra delineato, passiamo adesso ad esaminare la l.r. n. 82/2019. Essa si compone di sei articoli, nello specifico:

  • Art. 1 – “Principi ispiratori e finalità. Modifiche all’art. 2 l.r. 26/2009”. Con esso si modifica completamente la lett. a) comma 1 dell’art. 2 l.r. 26/2009 adeguando il testo alle nuove competenze regionali in tema di partecipazione alla formazione, attuazione ed esecuzione del diritto dell’Unione sulla base dei “principi di sussidiarietà, proporzionalità, di efficienza, di trasparenza e di partecipazione democratica”, così come sanciti dalla l. 234/12. 
  • Art. 2 – “Partecipazione alla formazione degli atti dell’Unione europea. Sostituzione dell’art. 5 l.r. 26/2009”. Con detto articolo si ridisegna l’iter di partecipazione della Regione alla formazione degli atti dell’Unione, prevedendo che al fine di definire concordemente la posizione della Regione sui “progetti di atti dell’Unione europea, sugli atti preordinati alla formazione degli stessi e le loro modificazioni”, le osservazioni ai medesimi, ai sensi dell’art. 24 l. 234/2012, siano “adottate con deliberazione del Consiglio regionale, su proposta della Giunta regionale”. Si specifica, inoltre, che in assenza della predetta deliberazione nei tempi utili al rispetto del termine previsto dall’art. 24 (30 giorni dalla data di ricevimento degli atti da esaminare), “la Giunta regionale può procedere autonomamente” mentre laddove manchi, nel rispetto dei medesimi tempi, la proposta della Giunta, “il Consiglio regionale (..) può autonomamente assumere la deliberazione in merito alla posizione della Regione”.
  • Art. 3 – “Sessione europea. Sostituzione dell’art. 6 della l.r. 26/2009”. Il vecchio testo dell’art. 6 prevedeva una sorta di reciproco obbligo informativo da parte del Presidente della Giunta al Consiglio regionale e da parte del  Presidente del Consiglio regionale alla Giunta regionale in relazione alle attività svolte in ambito comunitario dalla Regione, nel primo caso, e dal Consiglio, nel secondo. Nella nuova versione, invece, l’art. 6 istituisce in seno al Consiglio regionale la sessione europea ossia un momento istituzionale che ogni anno costituirà un momento di raccordo tra Consiglio regionale e Giunta regionale per parlare, confrontarsi e definire l’indirizzo della Regione Toscana nella formazione ed attuazione della normativa europea. In questa sede, quindi, oltre alla reciproca informativa circa le attività svolte in sede europea, si procederà all’esame “del programma di lavoro della Commissione europea, della relazione programmatica annuale del Governo di cui all’art. 13 l. 234/12 e della relazione sullo stato di conformità dell’ordinamento regionale all’ordinamento europeo”.
  • Art. 4 – “Diffusione della cultura europea. Inserimento dell’articolo 8 bis nella l.r. 26/2009”. Sorretto dall’intento di rafforzare il ruolo europeo della Regione ed avvicinare i cittadini a questa istituzione, l’art. 8-bis assolve il compito di dare attuazione alla seconda parte del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (artt. 18-25), cercando di dare nuovo vigore alla cittadinanza europea, istituita dall’art. 20 TFUE, e ai diritti e i doveri che da essa derivano.
  • Art. 5 – “Riferimenti alla l. 234/2012”. Con questo articolo si attua un adeguamento della l.r. 26/2009 in relazione ai riferimenti normativi presenti al suo interno. In particolare, si stabilisce che tutti i rinvii alla l. 11/2005 si intendono riferiti alla l. 234/2012.
  • Art. 6 – “Norma finale”. L’articolo di chiusura è dedicato all’entrata in vigore della l.r. 82/2019.

1 L’impegno che il Consiglio regionale toscano ha assunto con la risoluzione n. 153/2017 era diretto a “creare un luogo istituzionale di confronto tra la Giunta regionale e il Consiglio regionale, finalizzato alla definizione della posizione unitaria della Regione Toscana sulle diverse tematiche europee” e a rafforzare il ruolo della Commissione competente per le politiche europee.

2 Il Trattato CEE agli artt. 92 e 93 (oggi artt. 107 e 108 TFUE) prevedeva la possibilità per gli Stati membri di erogare aiuti di Stato per “(..) favorire lo sviluppo economico delle regioni (..)”. 

3 I risultati positivi collegati alla prima esperienza di collaborazione internazionale con la CECA (Comunità europea del carbone e dell’Acciaio), istituita nel 1951 da Francia, Germania, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, spinse gli Stati Membri ad estendere questa forma di collaborazione oltre il settore carbo-siderurgico. In tal senso, vennero firmati nel 1957 i Trattati di Roma istitutivi della CEE (Comunità economica europea) e dell’Euratom (Comunità europea per l’energia atomica): entrambi i Trattati entrarono in vigore nel 1958. L’obiettivo principale del Trattato CEE era quello di “(..) creare un mercato comune all’interno dell’area comunitaria non più delimitato ad un determinato settore economico, ma comprensivo di tutte le attività di mercato al fine di realizzare non soltanto un’area di libero scambio tra Paesi membri, ma giungere anche all’adozione di una tariffa doganale comune (..)” (cfr. A.M. CALAMIA – V. VIGIAK, “Manuale breve di Diritto dell’Unione Europea”, Giuffrè Editore, 2017, pagg. 7 e ss.).

4 In particolare il riferimento è all’adesione alla Comunità della Danimarca, del Regno Unito e dell’Irlanda avvenuta il 1 gennaio 1973, la quale ha determinato, di lì a breve, la spinta propulsiva per proseguire la realizzazione degli obiettivi comunitari.

5 Alla luce della spinta regionalista che gli Stati membri della Comunità avevano manifestato durante la Conferenza di Parigi del 1972, la proposta avanzata dalla Commissione europea “(..) consisteva nell’attuazione di una politica regionale comunitaria aggiuntiva a quelle nazionali, e non quindi sostitutiva, e nella necessità di disporre di strumenti finanziari specifici per il riequilibrio interregionale (..)”. Proprio su questa scia viene istituito il  Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR). “Storia ed evoluzione dei fondi strutturali” pagg. 27 e ss. consultabile su www.eurosportelloveneto.it

6 E. DOMORENOK, “Il ruolo del Comitato delle Regioni nella governance europea”, Carocci Editore, 2010.  

7 1992 detto anche nuovo trattato sull’unione europea.

8 Il principio di sussidiarietà viene definito e disciplinato dall’art. 5 NTUE il quale afferma che “(..)nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario (..)”. Possiamo dire, quindi, che l’introduzione di questo principio è diretto ad arginare il crescente potere che le istituzioni europee stavano acquisendo nei confronti degli Stati membri, oltre a persegue la finalità di avvicinare i cittadini alla vita, alle scelte ed alla politica dell’Unione Europea.

9 Il testo dell’art. 5 NTUE dopo il Trattato di Lisbona riformula il principio di sussidiarietà come segue: “(..) In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva, l’Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell’azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione (..)”.

10 L’art. 8, comma 2, del Protocollo n. 2 sull’applicazione del principio di sussidiarietà e di proporzionalità riconosce al Comitato delle Regioni la possibilità di presentare alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea i ricorsi per violazione del principio di sussidiarietà “avverso atti legislativi per l’adozione dei quali il trattato sul funzionamento dell’Unione europea richiede la sua consultazione”. Conseguentemente, l’art. 263 TFUE prevede che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea sia “ (..) competente (..) a pronunciarsi sui ricorsi che la Corte dei conti, la Banca centrale europea ed il Comitato delle regioni propongono per salvaguardare le proprie prerogative (..)”. Possiamo affermare che con il Trattato di Lisbona il Comitato delle Regioni sia stato individuato come uno dei garanti del principio di sussidiarietà!

11 La coesione territoriale è stata inclusa, al fianco di quella economica e sociale, tra gli obiettivi di politica generale dell’UE in quanto per promuovere un integrazione europea equilibrata e duratura è necessario intervenire sugli squilibri e/o divari esistenti all’interno di alcune zone europee e che il processo di ampliamento dell’Unione impone di affrontare e risolvere. In quest’ottica le politiche regionali e la cooperazione tra le  Regioni europee, viste come istituzioni più prossime ai bisogni e/o esigenze dei cittadini, diventa un obiettivo principale.

12 Il c.d. early warning system prevede una procedura diretta a controllare il rispetto da parte dell’Unione del principio di sussidiarietà. In particolare, il Protocollo 2 all’art. 4 indica gli atti che il Parlamento, la Commissione ed il Consiglio dell’Unione devono trasmettere ai Parlamento nazionali. Dopodiché, il successivo art. 6 afferma che quest’ultimi o le loro singole Camere possono esprimere “un parere motivato che espone le ragioni per le quali ritiene che il progetto in causa non sia conforme al principio di sussidiarietà. Spetta a ciascun parlamento nazionale o a ciascuna camera dei parlamenti nazionali consultare all’occorrenza i parlamenti regionali con poteri legislativi”.

13 Per “fase ascendente” si intende il processo diretto alla formazione delle politiche e degli atti dell’UE.

14 Per “fase discendente” si intende il processo di attuazione e all’esecuzione degli atti dell’UE

15 Art. 5, l. 131/2003, “Le Regioni (..), concorrono direttamente, nelle materie di loro competenza legislativa, alla formazione degli atti comunitari, partecipando, nell’ambito delle delegazioni del Governo, alle attività del Consiglio e della Commissione europea, secondo modalità da concordare in sede di Conferenza Stato-Regione (..)

16 L’art. 8 l. 131/2003 si occupa di dare attuazione a quanto stabilito dall’art. 120 Cost in tema di potere sostitutivo del Governo a “organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni” in caso di loro mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa europea.

17 Le disposizioni contenute nella l. 11/2005 andavano a comporre una parte di quelle “norme di procedura”, richiamate dal testo costituzionale, necessarie per individuare le procedura che le istituzioni nazionali e regionali avrebbero dovuto seguire sia nella fase della formazione degli atti normativi europei sia in quella di attuazione del diritto europeo. In particolare, per quanto attiene la fase ascendente, si riportano di seguito alcuni punti fondamentali della legge: A. introduzione di obblighi informativi in capo al Governo a favore della “(..) Conferenza dei Presidenti delle regioni e delle province autonome e alla Conferenza dei Presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle Province autonome(..) ai fini dell’inoltre ai Consigli regionali e delle province autonome (..)” dei progetti di atti comunitari e dell’UE, atti preordinati alla loro formazione e/o modifica, con possibilità di far apporre al Governo in sede di Consiglio dei Ministri dell’UE una riserva di esame (art. 5, comma 1-2); B. possibilità per le Regioni di inviare osservazioni entro venti giorni dalla ricezione informativa di cui al punto precedente al Governo (art. 5, comma 3); C. rafforzamento del ruolo della Conferenza Stato-Regione e delle Conferenze dei Presidenti (art. 5). Per quanto attiene, invece, la fase discendente, la l. 11/2005 prevedeva lo strumento della “legge comunitaria” per l’adeguamento dell’ordinamento italiano alle direttive europee tuttavia, ad oggi, esso è stato sostituito da altri due strumento ossia la “legge di delegazione europea” e la “legge europea”, introdotti con la l. 234/12 che è andata ad abrogare la l. 11/2005 (c.d. Legge Buttiglione).

18 L’accordo di cooperazione stipulato tra Governo, Regioni e Province autonome è stato pubblicato nella G.U. n. 75 del 30 marzo 2006.

19 A.M. CALAMIA, V. VIGIAK, “Manuale breve diritto dell’Unione europea”, Giuffrè Editore, 2017, pagg. 148 e ss.

20 Cfr. art. 70 Statuto Regione Toscana.