Buone Pratiche

PRIMA LA CASA: A PISA L’HOUSING FIRST È NELLA CANONICA DELLA PARROCCHIA

a cura di Francesco Paletti

16 Giugno 2020

 “In 6 mesi la mia vita è cambiata: ero un senza tetto e adesso ho una casa”. Ecco cos’è Housing First per Leonard, 60 anni, un passato fatto di lavoro e famiglia, per 14 anni in Romania come falegname e per 13 in Italia come saldatore, prima che la separazione e una crisi esistenziale lo portassero a vivere in strada. “Nel 2017 ho lavorato per 5 mesi: facevo ristrutturazione d’infissi, interni ed esterni. Ma è stata durissima perché arrivavo alla sera, dopo otto o nove ore di lavoro, e non avevo dove lavarmi o dormire. Senza contare il problema della residenza: se non ce l’hai, praticamente non esisti e io, essendo senza dimora, non potevo averla, ma ora vivo qui e tutto è cambiato” racconta, invece, Marco, 45 anni, originario di Pontedera, pure lui inquilino di Housing First. 

Perché da qualche mese, a Pisa, c’è un condominio speciale: è al Cep, nella casa canonica della chiesa di San Ranieri, proprio accanto alla “Cittadella della Solidarietà”, l’emporio che assicura sostegno alimentare a circa 1.500 persone l’anno gestita dalla Caritas. 

Lì sono stati ricavati 6 monolocali in cui vivono altrettanti ormai ex-senza dimora presenti da anni nel territorio pisano. Come  Leonard, Marco e “Sergino” che, per la prima volta dopo anni di vita per strada, ha potuto festeggiare il Natale con un tetto tutto suo sopra la testa; lui, invero, non è che si sia dovuto spostare molto: «Fino a pochi mesi fa vivevo in un sottoscala, sempre qui al Cep: ci avevo piazzato una brandina e vi trascorrevo le giornate, ci sarò stato per qualche anno». 

Qualche centinaio di metri più in là, la vita è tutta un’altra cosa: il caffè al bar («ora non è più come qualche mese fa, mi vogliono tutti più bene:come mai prima era diverso? A qualcuno non stavo troppo simpatico e aveva ragione: mi alzavo arrabbiato con il mondo e litigavo con tutti»), pulisce la casa, cura pure i fiori  e guarda documentari naturalistici in tv. «Il mio futuro? Io lo immagino così: una casetta e la mia pensione, ottenuta grazie al lavoro degli operatori. Che cosa potrei chiedere di più?».

Dalla strada direttamente alla casa: è così che funziona Housing First, un approccio al problema dell’homelessness prima ancora che un progetto. «Un cambio di paradigma radicale» sintetizza Alessandro Carta, vicepresidente de Il Simbolo, la cooperativa sociale promossa dalla Caritas che gestisce il progetto per conto della Società della Salute della Zona Pisana. 

Ed è proprio così: Housing First è un ribaltamento completo rispetto agli approcci “tradizionali” dei servizi per le persone senza dimora, quelli che si propongono di fare in modo che la persona sia “pronta” ad entrare in casa prima di avere una casa. 

In Housing First, invece, la casa è il punto di partenza e vi si accede senza alcuna condizione se non quella, che vale per qualunque cittadino, di pagare l’affitto concordato al proprietario. Il presupposto, nonché primo degli otto principi guida di quest’approccio, è che “abitare è un diritto umano” e in quanto tale deve essere riconosciuto senza condizioni. 

Conseguenza: “Housing First garantisce che il diritto  all’abitare non sia condizionato al fatto che i partecipanti s’impegnino ad un percorso di recupero per dover ottenere un’abitazione o esercitare il loro diritto a mantenerne una. La soluzione abitativa, per tanto, è distinta dal percorso di recupero”, che comunque, c’è ed è costruito sui bisogni della persona e, anzi, proprio perché disgiunto dal diritto alla casa non viene meno neppure nel caso la persona abbandoni, per sua scelta o per necessità, l’abitazione. 

Ma funziona? 

Per rispondere bisogna innanzitutto guardare all’estero, ai Paesi in cui l’Housing First – un approccio ideato nei primi anni ’90 dal dottor Sam Tsamberis a New York – è ormai divenuto parte integrante delle politiche sociali per la cosiddetta alta marginalità. 

Negli Usa, in Canada e in Europa la ricerca mostra che Housing First pone fine all’homelessness in almeno 8 casi su 10” sottolinea Carta. 

Ad Amsterdam, ad esempio, uno studio realizzato nel 2013 ha dimostrato che il 97% dei beneficiari degli interventi ispirati al “Prima la Casa” a dodici mesi di distanza dall’avvio del progetto avevano conservato l’abitazione. 

In Finlandia, invece, l’Housing First è divenuto linea strategica nazionale per le politiche di contrasto all’alta marginalità già dal 2008: qui allora si contavano 2.931 persone con esperienza di homelessness di lunga durata, una cifra che nel 2013 era scesa a 2.192. Una diminuzione del 25% in cinque anni. 

In generale “un’analisi dei risultati a livello internazionale realizzata nel 2008 indicava che tra il 40% e il 60% delle persone con disagi multifattoriali abbandonavano il loro alloggio o ne erano espulsi dai proprietari o gestori prima di trovare un alloggio alternativo. Si tratta di un risultato in netto contrasto con quelli ottenuti dai servizi Housing First che permettono all’80% o più dei partecipanti di mantenere un alloggio per almeno un anno” si legge in “Guida all’Housing First Europa”, il manuale realizzata da Feantsa, la federazione europea delle organizzazioni nazionali che lavorano con le persone senza dimora e tradotto in italiano da Fio.Psd, un acronimo che sta per Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora.