Editoriali

QUANTO PESA LA DESTINAZIONE DI UN IMMOBILE AD ESERCIZIO DI CULTO?

a cura di Martina Lumini

16 Febbraio 2018

Nella pratica spesso accade che le Diocesi siano destinatarie di atti di donazione da parte di soggetti privati. Attraverso l’analisi della sentenza n. 7821 del 16.04.15 emessa dalla Corte di Cassazione, sez. II, andremo a fare chiarezza sulle problematiche connesse alla conclusione di detti contratti al fine di evitare spiacevoli inconvenienti.

IL FATTO

Nella fattispecie posta al vaglio della Corte, l’attrice1 Tizia agiva in giudizio dinanzi al Tribunale di Beta per sentire condannare la Diocesi di Beta al rilascio dell’immobile X di sua proprietà, reso oggetto nel 1984 di un atto di donazione2 non perfezionato3 in favore dello stesso Ente Ecclesiastico. 

La Diocesi, infatti, entrata da subito nella disponibilità del bene, provvedeva con Bolla vescovile a destinarlo a luogo di culto (chiesetta)4 non preoccupandosi di formalizzare l’accettazione5 della donazione ricevuta.

Nel 2015 la sig.ra Tizia aveva citato in giudizio6 l’Ente Ecclesiastico chiedendo la condanna di quest’ultimo al rilascio dell’immobile X.

Il Vescovo di Beta, nel costituirsi in giudizio, aveva affermato l’acquisto della proprietà del bene per  usucapione7 in ragione del possesso ultraventennale esercitato dalla Diocesi sulla res.

Il Tribunale di primo grado8 rigettava la domanda di parte attrice dichiarando usucapito l’immobile X in favore dell’Ente Ecclesiastico mentre in appello, la Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva il gravame9 proposto da Tizia e condannava la Diocesi di Beta al rilascio dell’immobile oggetto di causa. 

LA SOLUZIONE ADOTTATA DALLA CORTE

Con la presente pronuncia la Corte delinea le caratteristiche che deve rivestire il godimento di un bene ai fini dell’usucapione  ed a tale scopo procede alla disamina del titolo di acquisto in capo all’Ente Ecclesiastico.

A norma dell’art. 782, comma 2 c.c. gli effetti della donazione10 si esplicano solo a seguito di formalizzazione dell’accettazione da parte del donatario.

Richiamando un risalente e costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, se l’accettazione non ha luogo contestualmente alla dichiarazione del donante, il perfezionamento del contratto di donazione resta in pendenza fino al momento in cui l’accettazione non sia eseguita per atto pubblico e questa sia notificata al donante11. Pertanto, sino a quel tempo il relativo contratto di donazione risulta in fieri e non può dirsi concluso.

A questo punto occorre qualificare la relazione di fatto instauratasi tra l’Ente Ecclesiastico ed il bene in termini di possesso utile ad usucapionem o di mera detenzione.  

Possesso e detenzione sono stati di fatto giuridicamente tutelati dall’ordinamento e affinché si possa parlare di possesso piuttosto che di detenzione si devono esaminare due requisiti: il primo è la relazione materiale che il soggetto instaura con il bene (corpus), il secondo è l’intenzione (volontà) con la quale la cosa viene tenuta dallo stesso (animus).

In concreto la differenza tra detenzione e possesso non si riscontra tanto nell’elemento materiale quanto piuttosto nell’animus: infatti, il detentore fonda la relazione con il bene  sulla titolarità di un diritto personale di godimento accompagnata dalla c.d. laudatio possessoris12, invece, il possessore esercita il relativo potere sulla res con la volontà di comportarsi come proprietario del bene o titolare di altro diritto reale sullo stesso.

La sentenza richiama un costante indirizzo della giurisprudenza secondo cui, al fine di verificare se a seguito di una convenzione (anche se nulla per difetto di forma),  con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un bene, si abbia possesso idoneo ad usucapione o mera detenzione occorre far riferimento all’elemento psicologico del soggetto stesso. A tal fine risulta utile stabilire se la convenzione sia un contratto ad effetti reali oppure obbligatori: solo nel primo caso, infatti, lo stesso risulterà idoneo a determinare nel soggetto l’animus possidendi13.

In applicazione di questo principio la Corte precisa che la situazione di godimento che si viene a creare a seguito di una donazione nulla14 è diversa rispetto a quella che si concretizza nell’ipotesi di donazione inesistente per il suo mancato perfezionamento15. Infatti, nel primo caso il contratto nullo costituisce titolo astrattamente idoneo al trasferimento del possesso mentre nell’altra circostanza si avrà semplice detenzione.

Nel caso di specie, il contratto di donazione risulta non ancora perfezionato a causa della mancata accettazione da parte del donatario (Ente Ecclesiastico) della donazione ricevuta; di conseguenza la relazione di fatto intercorsa tra  quest’ultimo ed il bene deve essere qualificata in termini di detenzione e non di possesso:  l’iter contrattuale previsto dagli artt. 782  e ss. c.c. non può giustificare nel donatario un elemento psicologico diverso da quello del detentore.

A questo punto, la Corte passa ad accertare se si sia verificata in favore dell’Ente Ecclesiastico un’interversio possessionis idonea a mutare detta detenzione in possesso ex art 1141, 2 comma c.c.16.

Sul punto l’indirizzo costante della giurisprudenza di legittimità stabilisce che  “l’interversione nel possesso non può aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore dalla quale sia consentito desumere che il detentore abbia cessato d’esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui ed abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio con correlata sostituzione al precedente animus detenendi dell’animus rem sibi habendi; tale manifestazione deve essere rivolta al possessore in maniera che questi possa rendersi conto dell’avvenuto mutamento, e quindi tradursi in atti ai quali possa riconoscersi il carattere di una concreta opposizione all’esercizio del possesso da parte sua17.

Pur richiamando un risalente orientamento in tema di attività rilevante ai fini della interversione del possesso18, la Corte afferma che la destinazione del bene all’esercizio del culto è attività compatibile con l’appartenenza del bene a privati.  

L’art. 831, 2 comma c.c., infatti, afferma la compatibilità tra la destinazione di un edificio all’esercizio pubblico del culto con la proprietà esclusiva dello stesso da parte di un terzo privato. A conferma di quanto detto si rileva che la deputatio ad cultum, affinché divenga un vincolo produttivo di effetti giuridici, richiede la sussistenza del provvedimento dell’autorità ecclesiastica e il consenso espresso o tacito del proprietario in merito alla destinazione della cosa all’uso religioso19.

Di conseguenza, premesso che la mancata accettazione della donazione definisce la condotta della Diocesi di Beta in termini di mera detenzione e non di possesso utile ad usucapionem,  la destinazione del bene a luogo di culto da parte del detentore non costituisce interversione del possesso in quanto non si ravvisa in essa alcun profilo di incompatibilità con l’altruità dell’immobile.

Sulla base delle considerazioni svolte la II sezione della Corte di Cassazione con la sentenza n. 7821 del 16.04.15 ha affermato il seguente principio di diritto: “non costituisce atto di interversione della detenzione in possesso, ai sensi dell’art 1141, comma 2 c.c., la destinazione di un immobile da parte del detentore ad esercizio di culto, trattandosi di attività compatibile con l’appartenenza del bene a privati che, come previsto dall’art. 831 c.c., non manifesta in modo inequivocabile e riconoscibile dall’avente diritto pretese dominicali sul bene trascendenti i limiti della detenzione ed incompatibili con il possesso del titolare della cosa”.


1. In generale, per parte si intende il soggetto che compie gli atti del processo e subisce gli effetti del provvedimento del giudice. In merito, si distingue tra attore ossia il soggetto attivo che propone la domanda e  convenuto ovvero il soggetto passivo contro il quale la domanda è proposta.
2.A norma dell’art. 769 codice civile (cc) la donazione è un contratto con il quale una persona (donante) arricchisce l’altra (donatario) per puro spirito di liberalità “disponendo a favore di questa di suo diritto o assumendo verso la stessa un obbligazione”. La donazione deve avere, a pena di nullità, la forma dell’atto pubblico ad substantiam redatto da un  notaio o da altro pubblico ufficiale legittimato ad attribuire al documento pubblica fede (art. 872cc). Il requisito dell’atto pubblico serve a garantire una maggior ponderazione dell’atto da parte del donante (visto che il trasferimento avviene per spirito di liberalità). Tale forma solenne, tuttavia, non è necessaria nelle donazioni aventi ad oggetto beni di modico valore: in questo caso, affinché la donazione si concluda, basta la semplice traditio del bene.
3. Per perfezionamento del contratto si intende la sua conclusione che, nel caso della donazione, si verifica nel momento in cui l’accettazione del donatario (Ente Ecclesiastico) giunge a conoscenza del proponente (Tizia). Fintanto che essa non avviene il contratto non può concludersi e quindi non può produrre i suoi effetti giuridici.
4. Destinazione al culto: costituisce uno speciale vincolo sul bene in forza del quale le cose mobili o immobili, ancorché di dominio privato, vengono destinate ad un uso pubblico di culto ed acquistano la qualifica di res sacrae. In base alle norme del diritto canonico (can. 1148, par. 2 e can. 1158) la destinazione al culto è integrata ad substantiam da un atto rituale dell’autorità ecclesiastica il quale deve risultare da apposito documento.
5. La formalizzazione dell’accettazione si può verificare: -con una dichiarazione del donatario contenuta nell’atto pubblico di donazione (quest’ultimo dovrà essere sottoscritto anche dal donatario stesso);  -con atto pubblico successivo del donatario, il quale dovrà essere notificato al donante.
6. La costituzione in giudizio è l’atto con cui la parte si presenta per mezzo del suo difensore o personalmente (nei casi previsti dagli artt. 82 e 86 codice di procedura civile) innanzi al giudice davanti al quale pende il processo.
7. L’usucapione è un modo di acquisto della proprietà a titolo originario che consente ad un soggetto di acquistare la proprietà od altro diritto reale di un bene a seguito del suo possesso pacifico, continuo, ininterrotto e pubblico per un periodo di tempo previsto dalla legge (v. artt. 1158 e ss. c.c.). Elementi essenziali dell’usucapione sono, quindi, il possesso ed il tempo; la buona fede e la sussistenza di un titolo astrattamente idoneo incidono, invece, solo sulla determinazione del periodo di tempo necessario per il, compimento dell’acquisto.
8.Nell’ordinamento civile italiano sono previsti tre gradi di giudizio: il primo grado si svolge di fronte al Giudice di Pace od al Tribunale, secondo le regole sulla competenza per valore e materia; il secondo grado, invece, si compie dinanzi al Tribunale (se il primo grado si è svolto davanti al Giudice di Pace) o alla Corte d’Appello (se il processo di primo grado si è compiuto di fronte al Tribunale); l’ultimo grado di giudizio (il terzo) si svolge innanzi alla Corte di Cassazione.
9.L’appello è un mezzo d’impugnazione che ha natura di “gravame” in quanto comporta un riesame potenzialmente totale della controversia. La controversia, così come conosciuta dal giudice di primo grado, verrà devoluta al nuovo giudice, il quale emetterà una nuova pronuncia che assorbirà e sostituirà in ogni caso quella di primo grado. Si precisa che l’effetto devolutivo non è automatico ma limitato alle domande e alle eccezioni che, non accolte in primo grado, siano riproposte in appello. 
10. Per “effetti della donazione” si intende l’arricchimento che detto atto comporta in favore del donatario e il contestuale impoverimento del donante mediante il trasferimento in favore del primo di un diritto o l’assunzione da parte del secondo di un’obbligazione in favore del medesimo.
11. Cass. civ. n. 269, 31 gennaio 1958: in questa sentenza la Corte richiama l’applicazione, anche in tema di donazione, del principio della “cognizione” secondo cui il momento conclusivo del procedimento di formazione del contratto deve riportarsi a quello in cui l’accettazione sia giunta a conoscenza del proponente (v. Commentario breve al codice civile, art. 782, Cedam, 2015).
12.“Laudatio possessoris” ovvero il riconoscimento del possesso altrui sulla cosa.
13. Cass. civ. sez. II, 11 giugno 2010, n. 14092.
14. Cass. civ. sez. II, 16 aprile 2007, n. 9090.
15. Cass. civ. sez. I, 14 giugno 1996, n. 5500.
16. L’art 1141, II comma, c.c. stabilisce che “se qualcuno ha cominciato ad avere la detenzione non può cominciare ad avere il possesso finché il titolo non viene mutato o per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il possessore”.
17. cass. civ. sez. II, 29 gennaio 2009, n. 2392;
18. Cass. civ. sez. II, 25 gennaio 2010, n. 1296, secondo cui la interversione della detenzione in possesso può avvenire anche attraverso il compimento di attività materiali, se esse manifestino in modo inequivocabile e riconoscibile all’avente diritto l’intenzione del detentore di esercitare il potere sulla cosa esclusivamente “nomine proprio”, vantando per sé il diritto corrispondente al possesso in contrapposizione con quello del titolare della cosa.
19. Cass. civ. 16 marzo 1981, n. 1474 su Cian –TrabucchiCommentario breve al codice civile, art. 831, Cedam, 2015;