Buone Pratiche

LA CITTADELLA DELLA CARITÀ

a cura di Sara Lupi

28 Febbraio 2022

La Cittadella della Carità ha sede all’interno di un complesso edificato in epoca altomedievale chiamato “il Tempio”, delimitato da Largo S. Maria, via Laudesi, Piazza dei Servi, Via S. Pietro e via del Nemoreto. Già conosciuto in Pistoia come luogo di pietà e carità, sembra che tragga il suo nome “tempio” dalla parola latina nemus o dal motto memor est, indicando un’antica area boschiva o un luogo di antiche sepolture. 

In questa zona, situata al di fuori della prima cerchia di mura, era presente uno spedale, edificato tra il 1090 e il 1095 per volere di Guido, Conte Palatino di Toscana e protetto di Matilde di Canossa. 

Tutto il complesso, probabilmente costituito anche da una piccola chiesa, viene donato poi nel 1111 ai monaci benedettini Vallombrosani di Badia a Taona e successivamente viene ceduto ai Cavalieri Ospedalieri di San Giovanni, chiamati Gerosolimitani, tra i cui beni è già registrato nel 1222. 

Sembra che l’appellativo di “tempio”, che l’edificio prende poi nei secoli successivi, sia da attribuire proprio all’appartenenza a tale ordine, fondato nella città Santa presso il Tempio del Santo Sepolcro. 

La storia più recente fa sì che questo luogo sia principalmente ricordato per la presenza dell’opera di carità e accoglienza del sacerdote pistoiese don Siro Butelli, rivolta ai bambini, ai ragazzi e alle persone in difficoltà della città.

In questo luogo, dal 1954, anno in cui fu nominato Cappellano del Tempio, don Siro Butelli iniziò la sua opera di carità, creando, fra l’altro, l’Us Tempio, dove giocheranno tantissimi ragazzi. 

Don Siro Butelli è stato uomo di fede e di cultura, organizzando mostre di pittura, scultura, fotografia e presentazione di libri. Pubblicò diversi volumi di poesie, ottenendo prestigiosi riconoscimenti, creò il coro la “Genzianella”, la tipografia e la casa di rinserimento per ex detenuti.

Dopo la sua morte, avvenuta 27 anni fa, la struttura è stata via via lasciata a sé stessa e molte di queste opere sono andate purtroppo perdute, chiudendo definitivamente la loro attività. 

La Caritas Diocesana di Pistoia ha voluto rianimare questo luogo di storica accoglienza, spiritualità e fraternità, riportando in questa sede, inizialmente nel 2004, la mensa dei poveri, intitolandola proprio a don Siro Butelli e dal 2018 la sede del Centro di Ascolto Diocesano e dell’Hospitium “Mansueto Bianchi”, per l’accoglienza notturna dei senza fissa dimora.

Proprio da quest’ultima esperienza, a dicembre 2020, in piena pandemia, la Caritas Diocesana ha voluto sfidare tutto, creando un’esperienza di co-housing denominata casa “L’Apostrofo”.

Questa piccola realtà di accoglienza, nata a latere dell’esperienza dell’Hospitium, vede otto uomini adulti che vivono insieme in una vera casa, dove ciascuno condivide e collabora con gli altri, un luogo non definitivo, ma di sosta, per il tempo necessario a ciascuno di riprendere in mano la propria vita. 

Questo nome sta a significare proprio l’intento di questo esperimento sociale: unire, eliminando il superfluo.  Le persone accolte, infatti, provengono tutte da storie difficili, dalla marginalità, ma sono ad oggi, tutti incamminati verso un obbiettivo di autonomia.  

Proprio da queste persone, e ci piace dire due nomi in particolare, Fabrizio e Antonio, è nata l’idea di rendere bello il chiostro della Cittadella, da loro è partita l’iniziativa di restituire a tutti i frequentatori di questo luogo, ma in realtà alla città tutta, un punto di devozione verso Maria. 

Anni fa proprio don Siro Butelli aveva costruito un altare con la rappresentazione della Grotta di Lourdes e vi aveva posizionato una statua della Madonna, oggetto di devozione di molti. In occasione del recente restauro della Chiesa di San Giovanni Decollato, la statua è stata ristrutturata e collocata in chiesa, ma la grotta è stata distrutta perché, purtroppo, cadente. 

Il luogo di tale devozione, quindi, si era trasformato in una rimessa di materiali, ma non di rado persone più o meno giovani sono venute a cercare la “Madonnina” con l’intento di accendere una candela, dire una preghiera o chiedere una grazia. 

Gli ospiti hanno così deciso di rendere un servizio per la comunità, ripristinando le aiuole con i fiori e ricreando uno spazio devozionale.

Hanno voluto chiamarla “Madonna della Resilienza”, perché da lei si sentono protetti in questo momento di rinascita personale, ma anche perché, visto il momento storico che stiamo attraversando a causa della pandemia, ognuno di noi può sentire il bisogno di protezione e affidamento. 

Sullo sfondo, come a proteggere la statua ed isolarla dalla parte di muro ancora da ristrutturare, hanno collocato le coperte dismesse del dormitorio, perché la coperta è simbolo di calore ed è ciò che hanno provato loro (ce lo dicono spesso!) nell’essere stati accolti e ritrovare la consapevolezza di essere figli, amati da Dio. 

Ai piedi della statua hanno invece collocato dei sassi, a simboleggiare i dolori, le avversità, le cadute, di ognuno, ma dai quali escono fiori: ogni ferita può essere feritoia per la vita che rinasce e riparte, nonostante tutto.