Commento

ABORTO:L’OBIEZIONE DI COSCIENZA COME DIRITTO O CONCESSIONE?

a cura di Giuseppe Mazzotta

16 Febbraio 2018

A seguito del concorso pubblico indetto dall’Ospedale San Camillo di Roma per l’assunzione di due medici non obiettori di coscienza si torna a parlare di una questione delicata che vede da un lato l’obiezione di coscienza e dall’altro l’interruzione volontaria di gravidanza. In particolare, considerando i due richiami ricevuti dall’Italia – da parte dell’ONU e del Consiglio d’Europa – e la tendenza riscontrata anche nei lavori del Consiglio della Regione Toscana – il riferimento è alla mozione n. 704

L’art. 9 della legge 194/1978, in tema di «TUTELA SOCIALE DELLA MATERNITÀ E INTERRUZIONE VOLONTARIA DELLA GRAVIDANZA», dispone che «il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza» risultando esonerato «dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento», fermo restando che «gli enti ospedalieri e le case di it.medadvice.net cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti https://es.medadvice.net/premier-salt-scrub/ secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8». Il diritto del medico costituisce un punto d’equilibrio nelle interazioni esistenti tra il dovere di soddisfare la richiesta di intervento e la tutela del terzo soggetto coinvolto nelle procedure di interruzione volontaria della gravidanza, ossia il concepito. L’obiezione è radicata nella condizione professionale come prova l’art. 22 del Codice di Deontologia Medica, in vigore dal 2014, della Federazione Nazionale degli Ordini dei mediciChirurghi e degli Odontoiatri, in base al quale «il medico può rifiutare la propria opera professionale quando vengano richieste prestazioni in co trasto con la propria coscienza o con i propri convincimenti tecnico – scientifici, a meno che il rifiuto non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona, fornendo comunque ogni utile informazione e chiarimento per consentire la fruizione della prestazione». La solida struttura dell’istituto così delineato sembra interfacciarsi con l’eterogenesi delle fonti normative dentro la quale, talvolta, filtra il vento del diritto sovranazionale. E’ accaduto, prima, con il pronunciamento della EUROPEAN COMMITTEE OF SOCIAL RIGHTS, in data 11 aprile 2016, per la quale «the public authorities fail to ensure an efficient organisation of the services providing access to abortion, taking into account the right to conscientious objection. As a result, many women are deprived of an effective access to abortion services [§ 208]» e «Pregnant women seeking to access abortion services are
therefore treated differently depending on the area in which they live [§209]
». Poi con la Human Rights Committee (6 – 29 March 2017) dell’ONU,in materia di Voluntary termination of pregnancy, per la quale vi è un «high number of physicians who refuse to perform abortions for reasons of conscience and their manner of distribution across the country, and the resulting in a significant number of clandestine abortions being carried out (arts. 6, 17 and 24) [§16]» e «The State party should take measures necessary to guarantee unimpeded an timely access to legal abortion services in its territory [§17]» Tuttavia la posizione dell’Italia è perfettamente in linea proprio con l’ormai consolidato orientamento europeo, fondato, come ricorda la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 84 del 22 marzo 2016, sulla «dignità dell’embrione, quale entità che ha in sé il principio della vita» in quanto «valore di rilievo costituzionale «riconducibile al precetto generale dell’art. 2 Cost.» (sentenza n. 229 del 2015); la tutela dell’embrione non è suscettibile di affievolimento (ove e) per il solo fatto che si tratti di embrioni affetti da malformazione genetica». Nella sentenza della Grande Chambre della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, pronunciatasi sul Caso Parrillo, si afferma che l’Italia non è «l’unico Stato membro del Consiglio d’Europa che vieta la donazione di embrioni umani alla ricerca scientifica (paragrafo 179) e l’obiezione di coscienza esiste in quanto «human embryos can not be reduced to “possessions” within the meaning of that provvision» [Parrillo contro Italia – Grande Chambre, sentenza del 27.08.2015].