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FAVORIRE LE AZIONI A CORRISPETTIVO SOCIALE

a cura di Redazione Ogl Toscana

16 Giugno 2020

Legge regionale

In data 06.03.2020 è stata pubblicata sul BURT la legge regionale n. 17/2020 contenente “Disposizioni per favorire la coesione e la solidarietà sociale mediante azioni a corrispettivo sociale”.

La presente legge costituisce il primo intervento con cui la Regione Toscana pone le basi per la creazione di un sistema di welfare che si discosta dai caratteri tradizionali, per acquisire un valore generativo. 

L’apporto normativo della legge è notevole soprattutto se si considera che, in Italia, la regione Toscana è la prima ad aver approvato una legge regionale che riconosce e favorisce la realizzazione di azioni di welfare generativo.

Il contesto istituzionale e sociale dal quale si sviluppa questa legge parte da una constatazione: l’attuale modello di welfare non sembra essere più in grado di rispondere all’aumento esponenziale delle richieste di prestazioni sociali provenienti dalle persone.

Prima di passare all’esame della l.r. 17/2020, risulta utile soffermarci sinteticamente su due quesiti che possono aiutarci a comprendere meglio il dettato normativo: che cosa si intende per welfare State? E per welfare generativo?

Il Welfare State (o Stato sociale) è quell’insieme di politiche pubbliche tese a garantire il benessere delle persone, in particolare dei soggetti più deboli, attraverso la creazione di sistemi di assicurazione e assistenza atti a garantire i c.d. “diritti sociali” e far fronte ai loro bisogni.

Benché i primi riferimenti allo Stato sociale possano rinvenirsi già nel 1601 con le “Poor Law” – dirette a riconoscere un’assistenza alle famiglie povere – e all’interno della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino del 17931, l’idea di uno Stato chiamato a svolgere una “funzione equilibratrice e moderatrice” attraverso “il prelievo fiscale e la ridistribuzione della ricchezza sotto forma di servizi e provvidenze finanziarie2 con il fine di porre rimedio alle disparità sociali, ha impiegato molto tempo prima di affermasi: si dovrà attendere il 1883 quando il cancelliere tedesco Bismarck introdusse la prima forma di previdenza sociale.

Tuttavia, il concetto di welfare state, che noi oggi conosciamo e che si è diffuso, seppur in modo diversificato, in molti paesi occidentali (compresa l’Italia), prende forma, all’indomani della seconda guerra mondiale, in Gran Bretagna a seguito del “Rapporto Beveridge” del 1942, che costituì la base per la riforma dello stato sociale che i laburisti britannici attuarono negli anni a seguire: si introdusse, per la prima volta il concetto di sanità pubblica e di pensione sociale.

In Italia, il modello di stato sociale che si afferma con l’attuazione della Costituzione del 1948 è di tipo “universalistico” nel quale pur non comparendo – ancora – un esplicito riferimento ai “diritti sociali” si cerca, grazie agli interventi estensivi posti in essere dal legislatore ordinario3 e dalle pronunce della Corte Costituzionale4, di allargare le tutele previste dalle disposizioni costituzionali, estendendole, senza distinzioni, sia ai cittadini italiani che agli stranieri presenti sul territorio nazionale. 

Si è assistito, quindi, ad un’estensione dell’intervento pubblico in settori sino a quel momento esclusi5: in precedenza, infatti, erano perlopiù i privati, singoli o associati, che per puro spirito caritativo si prodigavano per garantire il benessere della comunità, predisponendo servizi di assistenza e cura a favore delle persone in difficoltà.

In questo contesto, il ruolo degli enti privati è stato fortemente ridimensionato, riconoscendo agli stessi o una funzione marginale di sostegno all’intervento pubblico – laddove lo Stato non fosse in grado di erogare integralmente le prestazioni richieste – oppure quali enti eroganti “prestazioni che presentavano caratteri di novità6.

Se fino alla metà del ‘900 la grande crescita economica consentì di sostenere ed espandere il sistema di welfare, a partire dagli anni Ottanta i costi della spesa sociale diventarono, a mano a mano, sempre più insostenibili e si iniziò a mettere in discussione il sistema stesso, adducendo varie ragioni: da una parte ci fu chi associava “il mantenimento dello Stato sociale (..) all’incremento della pressione fiscale, progressivamente sempre meno accettata dai contribuenti7, chi, invece, riteneva che il sistema potesse generare “condizioni di negativa dipendenza del cittadino8 e chi, infine, evidenziava “(..) l’inadeguatezza del welfare tradizionale ad individuare e fronteggiare le nuove povertà, intese sempre più come relative (..) piuttosto che assolute (..)9.

In questo contesto, si è assistito ad una ri-affermazione del principio di sussidiarietà che portò ad una rimodulazione del ruolo delle pubbliche amministrazioni, che diventarono “meno erogatrici e più coordinatrici10 grazie ad “(..) interventi legislativi tesi a disciplinare alcuni tipi di formazioni sociali/Ts e prevedendo un loro coinvolgimento nel sistema di welfare11.

Il ridimensionamento dell’intervento pubblico nella gestione ed erogazione dei beni e dei servizi sociali viene a consolidarsi a seguito della riforma costituzionale del 2001, che ha interessato il Titolo V: in particolare, attraverso l’esplicito riconoscimento dei “diritti sociali”12 e l’introduzione del principio di sussidiarietà orizzontale13.

C’è da dire, tuttavia, che la categoria dei “diritti sociali” sfugge, ancora oggi, da una precisa e  puntuale definizione, rimanendo, anche dopo la riforma del 2001, una specie dai contorni non ben definiti: generalmente questi diritti vengono ricondotti all’interno del più ampio genere dei “diritti inviolabili” tutelati dall’art. 2 Cost ed intesi quali “(..) situazioni soggettive tese a garantire alla persona la tutela di alcune dimensioni della propria sfera personale e di vita (la salute, il lavoro, l’istruzione, e così via) nel rispetto e nella prospettiva di realizzazione piena della propria dignità ed insieme quali indicatori attraverso cui le istituzioni pubbliche attuano la ripartizione delle risorse e degli oneri sociali“ con funzione riequilibratrice delle disparità sociali14

Il modello di welfare sin qui descritto – e attualmente vigente nel nostro Paese – basato sul binomio “raccogliere e distribuire” risorse provenienti perlopiù dal prelievo fiscale, si è trovato nell’impossibilità di gestire, e quindi garantire, assistenza e cure a tutti: l’ammontare della spesa sociale, anno dopo anno, sta gravando sempre di più sui bilanci dello Stato15.

Il rallentamento dell’economia nazionale e il conseguente ampliamento del divario socio-economico hanno imposto di ripensare il sistema di welfare, evidenziando non soltanto la necessità di potenziare la rete già esistente ma anche di creare un nuovo welfare – da affiancare a quello tradizionale – che sia in grado di rigenerare la ricchezza. 

Passando al secondo quesito, leggendo il considerando n. 2 della l.r. n. 17/2020  si comprende che quello proposto dal legislatore regionale è “un sistema denominato welfare generativo, che si fonda sulla responsabilizzazione dei soggetti destinatari di interventi di sostegno” e che si prefigge, come  specificato nella relazione illustrativa che accompagna la proposta di legge, “di collegare l’erogazione di una prestazione del sistema di welfare, tesa a garantire un diritto sociale, alla possibilità di attivare, nel medesimo soggetto destinatario della prestazione, un impegno sociale volontario a vantaggio della collettività”.

L’intervento normativo è in linea con il “Piano Sanitario e Sociale Integrato regionale 2018-2020” nel quale la Regione ha indicato tra i propri obiettivi quello di “(..) favorire spazi d’intervento ispirati a un modello di welfare generativo che mirano all’attivazione di azioni di responsabilizzazione e di coinvolgimento attivo dei beneficiari di talune prestazioni, al fine di aumentare il rendimento degli interventi attuati a beneficio dell’intera comunità (..)16.

Andiamo adesso ad esaminare le singole disposizioni della l.r. n. 17/2020, la quale si compone di undici articoli, in particolare:

  • Art. 1 – Finalità. L’azione normativa regionale è diretta a favorire “la coesione e la solidarietà sociale” nel rispetto dei principi sanciti dalla Carta Costituzionale (artt. 2, 3, 38, 117 commi 3 e 4 e 118) e dello Statuto della Regione Toscana (artt. 2, 3, 4, 58 e 59).
  • Art. 2 – Definizioni. A detto articolo è demandato il compito di definire i due concetti su cui ruota l’intera legge in esame, ossia quello di “welfare generativo” e quello di “azioni a corrispettivo sociale”. Per quanto riguarda il primo (lett. a) si rinvia a quanto già detto in precedenza, mentre per il secondo la lett. b dell’art. 2 stabilisce che per azioni a corrispettivo sociale si fa riferimento a quelle attività poste in essere a vantaggio della collettività che prevedono il coinvolgimento “volontario, attivo e responsabilizzante” del soggetto beneficiario d’interventi di sostegno.
  • Art. 3 – Azioni a corrispettivo sociale. All’interno di questo articolo troviamo l’elenco delle finalità cui sono dirette le azioni in oggetto, ed in particolare: favorire la coesione e la solidarietà sociale, favorire il pieno sviluppo delle persone destinatarie degli interventi di sostegno economico, promuovere lo sviluppo di soluzioni e buone pratiche all’interno del sistema di welfare regionale etc.
  • Art. 4 – Realizzazione delle azioni a corrispettivo sociale. Esso indica gli interventi sociali (lett. a, b,c e d) i cui beneficiari potranno essere coinvolti nelle attività a corrispettivo sociale, quali i destinatari d’interventi finalizzati al superamento di condizioni di bisogno e/o difficoltà della persona, i fruitori di strumenti di politica attiva e di ammortizzatori in deroga, i beneficiari di qualsiasi intervento a sostegno del reddito che presenti carattere di continuità, posto in essere dall’amministrazione regionale nonché i destinatari del reddito di cittadinanza.
  • Art. 5 – Compiti della Regione. L’articolo procede all’individuazione dei settori nei quali potranno essere realizzate le “azioni a corrispettivo sociale” e contestualmente, nel rispetto delle competenze regionali, pone in capo alla Regione il compito di “definire in sede di programmazione i criteri generali per la realizzazione di strategie di welfare generativo”.
  • Art. 6 – Soggetti del welfare generativo. La norma individua, al comma 1, i soggetti che dovranno partecipare attivamente affinché il sistema di welfare generativo possa attivarsi, nello specifico: – Comuni, singoli o associati, e società della salute (lett. a); – enti del terzo settore, comprese le imprese sociali e gli enti religiosi (lett. b); – associazioni di cittadini finalizzate alla cura dei beni comuni o allo svolgimento di attività di utilità sociale (lett. c); – ogni altro ente pubblico o privato (lett.d); – i soggetti che realizzano azioni a corrispettivo sociale (lett. e). Mentre il comma 2 precisa il ruolo dei Comuni, singoli o associati (lett. a) – essi dovranno occuparsi non soltanto di promuovere, regolare e valutare le azioni a corrispettivo sociale ma anche di gestire il registro di cui al successivo art. 7 – l’ultimo comma riconosce ai soggetti di cui alle lett. b), c), d) e  e) il compito di presentare proposte/progetti per la realizzazione delle azioni a corrispettivo sociale, nonché di occuparsi della loro realizzazione.
  • Art. 7 – Registro delle proposte di azioni a corrispettivo sociale. I soggetti preposti alla tenuta del registro sono, come anticipato, i Comuni singoli o associati oppure la Società della Salute, i quali dovranno dotarsi di un regolamento per la tenuta del Registro, sulla base delle indicazioni fornite dalla Regione. Il comma 4, invece, fornisce un elenco dei requisiti che devono presentare le proposte affinché possano essere iscritte nel predetto Registro.
  • Art. 8 – Procedure per la realizzazione di azioni a corrispettivo sociale. Detto articolo indica l’iter con cui le proposte di azioni a corrispettivo sociale dovranno trovare attuazione. Nello specifico, il comma 1 stabilisce che i soggetti che procedono all’erogazione degli interventi di cui all’art. 4 dovranno sottoporre ai relativi beneficiari l’elenco delle azioni a corrispettivo sociale contenute nel relativo Registro. A quel punto, saranno questi ultimi a dover scegliere l’azione che intendono realizzare, sottoscrivendo con il Comune e l’ente proponente  un accordo per la sua attuazione (comma 2), secondo quelle che saranno le direttive impartite dalla Regione (comma 3).
  • Art. 9 – Assicurazione. L’espletamento delle azioni a corrispettivo sociale è subordinata all’attivazione delle dovute coperture assicurative da parte dei soggetti propositori dei vari progetti, individuate nella polizza infortuni, malattia e per responsabilità civile verso terzi.
  • Art. 10 – Misurazione del valore rigenerativo e del rendimento delle risorse. Detto articolo, così come il successivo art. 11, introducono adempimenti e strumenti atti a valutare i risultati raggiunti dal welfare generativo. In particolare, si prevede che i Comuni, singoli o associati o le Società della Salute provvedano “alla misurazione del valore sociale prodotto dalle azioni a corrispettivo sociale realizzate” attraverso la valutazione di tre parametri, il valore economico generato, l’esito individuale e l’impatto sociale dell’azione.
  • Art. 11 – Rapporto annuale. Viene posto in capo ai Comuni o alle Società della Salute l’onere annuale (entro il 31 marzo) di trasmettere i dati relativi alle azioni realizzate alla Giunta regionale in modo che quest’ultima possa, in primis, redigere e rendere pubblico un rapporto annuale e, poi, monitorare l’attuazione, i risultati e l’efficacia delle azioni a corrispettivo sociale realizzate.

1 Art. 23 – La garanzia sociale consiste nell’azione di tutti, per assicurare a ognuno il godimento e la conservazione dei suoi diritti; questa garanzia riposa sulla sovranità nazionale.

2 E. ROSSI, “Prestazioni sociali con corrispettivo?Considerazioni giuridico-costituzionalistiche sulla proposta di collegare l’erogazione di prestazioni sociali allo svolgimento di attività di utilità sociale”, pag. 2.

3 P. CONSORTI, L. GORI, E. ROSSI, “Diritto del Terzo settore”, Il Mulino, 2018, pag. 22, “Si pensi, per fare un esempio, alle vicende attuative dell’art. 32 Cost, il quale prevede la necessità di garantire cure gratuite soltanto agli “indigenti”, mentre il legislatore ordinario ha realizzato un sistema sanitario nazionale improntato a un modello universalistico (..) Analogamente per il diritto all’”assistenza sociale” che il primo comma dell’art. 38 tende a garantire ai soli “cittadini”, e che invece si inteso alla base delle garanzie da riconoscere a ogni persona, indipendentemente dal suo status civitatis (..)”.

4 Cfr. Corte Costituzionale, sent. n. 105 del 2001, pag. 8, nella quale si afferma che i “(..) diritti che la Costituzione proclama inviolabili spettano ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani (..)”. La sentenza è consultabile al seguente link: https://www.camera.it/cartellecomuni/leg14/RapportoAttivitaCommissioni/commissioni/allegati/01/01_all_cc_2001_105.pdf.

5 ADDIS, FERIOLI, VIVALDI, “Il Terzo settore”, pag. 179, l’idea che sorregge questo modello ritiene che “(..) solo un sistema di welfare universalistico a forte matrice pubblica potesse garantire il godimento effettivo e uniforme dei diritti all’interno del territorio nazionale, nonché una effettiva crescita economica e sociale della comunità (..)”. 

6 P. CONSORTI, L. GORI, E. ROSSI, “Diritto del Terzo settore”, Il Mulino, 2018 pag. 23. I caratteri di novità a cui si fa riferimento vengono individuati o nelle prestazioni sociali “riferite a bisogni ‘nuovi’ (si pensi ad esempio agli interventi necessari a seguito della diffusione del virus dell’Hiv)” o nelle “risposte innovative” che potevano essere elaborate per soddisfare “bisogni consolidati”. In ogni caso si tratta di interventi che “la mano pubblica non era in grado di realizzare”.

7 G. MARCON, C. SCILLETTA, Osservatorio di Economia Civile, Camera di Commercio di Treviso, “Il ruolo del welfare civile nel welfare mix. Bisogni non evasi dal welfare pubblico”, 2014, pag. 4.

8 G. MARCON, C. SCILLETTA, Osservatorio di Economia Civile, Camera di Commercio di Treviso, “Il ruolo del welfare civile nel welfare mix. Bisogni non evasi del welfare pubblico”, pag. 9.

9 G. MARCON, C. SCILLETTA, Osservatorio di Economia Civile, Camera di Commercio di Treviso, “Il ruolo del welfare civile nel welfare mix. Bisogni non evasi del welfare pubblico”, pag. 9.

10 P. CONSORTI, L. GORI, E. ROSSI, “Diritto del Terzo settore”, Il Mulino, 2018 pag. 24

11 P. CONSORTI, L. GORI, E. ROSSI, “Diritto del Terzo settore”, Il Mulino, 2018 pag. 24.

12 I “diritti sociali” hanno ricevuto il primo esplicito riconoscimento in Italia all’interno della Carta costituzionale a seguito della riforma del 2001, che ha interessato il “Titolo V”, in particolare nell’artt. 117, comma 2, lett. m (“determinazione  dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”) e nell’art 120 (“Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città Metropolitane, delle Province e dei Comuni (..) quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica e dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali (..)”).

13 Il principio di sussidiarietà orizzontale viene sancito all’interno dell’art. 118, 4 comma Cost., il quale afferma che “(..) Stato, Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.

14 E. ROSSI, “Prestazioni sociali con corrispettivo? Considerazioni giuridico-costituzionalistiche sulla proposta di collegare l’erogazione di prestazioni sociali allo svolgimento di attività di utilità sociale”, pag. 3.

15 D. COLOMBO, “Welfare,l’irresistibile ascesa delle spese per l’assistenza”, Il Sole 24 ore, 2019, “(..) è un falso mito che l’Italia spenda poco per il welfare: la spesa per prestazioni sociali nel 2017 è arrivata a 453,87 miliardi (+0,4% sul 2016; +6,18% rispetto al 2012). Sul totale della spesa pubblica (..) le prestazioni sociali incidono per il 54,01% (..) se si rapporta, da un lato, la spesa sociale alle effettive entrate contributive e fiscali e, dall’altro, si tiene conto anche di tutte le funzioni sociali e delle spese di funzionamento degli enti che gestiscono il welfare a livello centrale e locale, la spesa sociale rispetto al Pil si attesta al 30% circa, uno dei livelli più elevati dell’Europa a 27 Paesi”. Secondo le stime elaborate da “Itinerari previdenziali” si tratta di una spesa sociale ingente che per essere finanziata necessita “oltre a tutti i contributi sociali, quando previsti, di tutte le imposte dirette (Irpef, Ires, Irap e Isos) e almeno altri 7,68 miliardi cui attingere attraverso imposte indirette”. Articolo consultabile al seguente link  https://www.ilsole24ore.com/art/welfare-l-irresistibile-ascesa-spese-l-assistenza-ABBnDjTB       

16 Estratto da un comunicato stampa della Regione Toscana del 12.02.2020.