Editoriali

I CAMBIAMENTI CLIMATICI E LE NUOVE SFIDE DEL DIRITTO

a cura di Simone Romagnoli

15 Dicembre 2022

Negli ultimi anni stiamo assistendo sempre più ad una politicizzazione della grande sfida ambientale che ha portato anche il diritto a cambiare, provando a rimanere al passo con l’evolversi di un problema che, allo stato attuale e con i mezzi correnti, sembra molto difficile da contrastare.

Nel nostro Paese assistiamo, oltre ai numerosi fenomeni di Green Washing che ormai invadono la comunicazione di tutti i settori, all’evidente deficit normativo in materia ambientale che rallenta gli iter per le autorizzazioni per la creazione di nuovi impianti (Eolici, Solari, Termici, …) e per la manutenzione (e ampliamento) della rete già esistente, che sta fermando il progresso.

Quello che spesso non si ricorda è che il diritto ambientale mira a tutelare il concetto di ambiente dal punto di vista giuridico, il quale non coincide solo con l’aspetto ecologico ma ricomprende in esso anche l’ambiente umano e sociale. Esclusivamente con questa chiave di lettura socio-ecologica è possibile analizzare quello che con il tempo si è definito come “Diritto Ambientale”, cioè la creazione di principi e regole volte ad assicurare le corrette interazioni tra natura e società. Ma quando si è iniziato a dare attenzione alla coesistenza per un’evoluzione comune tra umanità e la Casa che la ospita?

È significativo pensare che il primo appuntamento internazionale che ha posto le basi per poter affrontare le suddette tematiche anche dal punto di vista legislativo fu, solo nel 1972, la conferenza delle Nazioni Unite tenutasi a Stoccolma sull’ambiente umano. Un tema che provò ad avvicinare l’uomo al creato e si pose l’obiettivo di guardare l’ambiente sotto una nuova luce, intersecando finalmente gli obiettivi con le linee guida sociali ed economiche per il futuro del pianeta. 

A partire da questo importante momento anche i singoli stati iniziarono a porre al centro dei dibattiti politici la questione ambientale e a livello europeo vennero adottati i primi regolamenti e le prime direttive in materia. Una tematica fortemente condizionata, soprattutto all’interno della Comunità Europea, dalla necessità di uniformare le norme per non alterare il mercato. Le prime normative ambientali possiamo circoscriverle nell’area del diritto dell’economia. L’Ambiente, che nonostante siano passati cinquant’anni è ancora visto come antagonista dell’Economia, è stato posto al centro di un processo normativo costruito per difenderla: inquinare di meno prevedeva un costo elevato per le imprese e il ciclo produttivo spesso aumentava anche le tempistiche. Non potevano esserci discriminazioni tra i vari paesi rispetto alla legislazione ambientale, perciò, per quanto riguarda l’Europa, il modo di occuparsi dei problemi era quello di armonizzarsi con gli obiettivi del trattato e tutelare il mercato. 

Il fine di «combattere i cambiamenti climatici» è divenuto un obiettivo specifico solo con il trattato di Lisbona (2009), così come il perseguimento dello sviluppo sostenibile nelle relazioni con i paesi terzi.

E in Italia? Nel nostro Paese il testo normativo di riferimento è il codice ambientale del 2006 che in realtà non è altro che un testo legislativo che ha raccolto le varie normative in materia ambientale esistenti. Nella nostra Costituzione il termine Ambiente è entrato nel testo solo all’inizio del 2022 con le modifiche degli articoli 9 e 41 che introducono la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli animali tra i principi fondamentali della Carta costituzionale. Ma in questo momento storico serve ancora mettere insieme le esigenze sociali, ambientali ed economiche per costruire davvero una sostenibilità completa e capace di sostenere l’evoluzione del futuro

Abbiamo assistito a cinquant’anni di una tutela ambientale dove la politica è sempre stata in ritardo rispetto alle necessità della Terra, dove le risposte sono state sempre ex post (basti citare il caso Seveso in Italia nel 1976 dal quale sono nate direttive europee sulla tutela ambientale). Siamo evidentemente alla genesi di questo “nuovo diritto”, ma siamo già in ritardo. 

Possiamo quindi dire che la “sostenibilità giuridica” sia un passo indietro alla sostenibilità ambientale? Partendo dalla consapevolezza dello stato del discorso sulla sostenibilità ambientale ancora agli albori, è evidente la necessità che il diritto non possa sempre seguire, con ritardo, i fenomeni naturali e sociali.

In questa tematica più che in altre, è necessario che il diritto si adegui in fretta perché i tempi corrono e la crisi ambientale va molto più veloce della macchina burocratica. Servirà il coraggio per fare azioni concrete e per far sì che queste azioni siano supportate da un adeguato sistema di norme, per evitare che i processi siano di intralcio.

L’unico modo per far sì che la tutela ambientale e l’interesse nei confronti della nostra Casa possano essere reali e non solo dialettica narrativa della politica, è consegnare gli strumenti giuridici adeguati al diritto ambientale, dare valore a questo ramo del diritto, che sicuro è fragile, ma se non curato si spezzerà, facendo cadere a terra il nostro futuro.