IL FANCIULLO NELLA CRISI CONIUGALE TRA AFFIDAMENTO E BIGENITORIALITA’?
a cura di Claudio Cecchella
16 Aprile 2018
Nella crisi delle relazioni familiari, sia che ciò accada in una relazione fondata sul matrimonio o sia che accada in una relazione fondata sulla convivenza, esiste un soggetto “debole” e “fragile” del rapporto che è il figlio, il quale subisce gli effetti giuridici e materiali della rottura contro la sua volontà, essendo ormai, secondo l’attuale disciplina dell’ordinamento giuridico italiano, la separazione o il divorzio molto spesso un atto volontario unilaterale di uno dei coniugi e, nelle relazioni non fondate sul matrimonio, di uno dei conviventi.
Proprio per questa ragione il fanciullo (termine utilizzato dalle convenzioni di New York e Strasburgo, anziché quello di “minore”, che evoca anche solo nel linguaggio comune un concetto inaccettabile) merita la massima possibile protezione giuridica, essendo da valutare come diritto superiore e indisponibile il suo “best interest”.
L’ordinamento italiano, tuttavia, non ha sempre riconosciuto questo interesse superiore, sia sul piano sostanziale e, ancora oggi, sul piano processuale, seppure il succedersi di alcune leggi come la legge n. 54 del 2006 e la riforma della filiazione degli anni 2012 e 2013 hanno certamente, almeno sul piano sostanziale, riconosciuto una priorità ai diritti del minore, in particolare ad una piena bi-genitorialità, ovvero alla protezione giuridica di rapporti significativi, sul piano quantitativo e qualitativo, con entrambi i genitori.
Per molto tempo, in mancanza di una disciplina precisa della legge, l’affidamento del minore e il collocamento presso uno dei genitori dipendeva dagli orientamenti del singolo giudice, il quale nell’esercizio di un potere discrezionale normalmente preferiva l’affidamento e il collocamento del figlio presso la madre, non proteggendo il bene giuridico di una relazione significativa, in termini qualitativi e quantitativi, con il padre.
Con la legge n. 54 del 2006, il legislatore è intervenuto ponendo limiti a tale potere discrezionale del giudice, riconoscendo come prioritario l’affidamento condiviso, ovvero l’attribuzione della responsabilità genitoriale, in relazione alle più significative decisioni riguardanti la vita del fanciullo, ad entrambi i genitori in maniera paritetica. Rimaneva tuttavia una formulazione equivoca del legislatore il quale non precisava un collocamento paritetico del figlio presso entrambi i genitori, dovendo essere stabilita una residenza prevalente presso uno di essi. Ancora una volta i giudici del merito collocavano preferibilmente il figlio presso la madre, ridimensionando i tempi di permanenza presso il padre e ponendo a carico del padre un contributo economico per il mantenimento del figlio.
Al contrario la pariteticità di collocamento del figlio presso l’uno e presso l’altro genitore, favorito da alcuni movimenti di opinione in rappresentanza dei c.d. “padri separati”, avrebbe offerto maggiore rispetto alla piena bi-genitorialità del minore, rendendo, attraverso contribuzione diretta per periodi identici, non necessario il contributo di mantenimento di un genitore a favore dell’altro, per il mantenimento del figlio.
Questo orientamento ha avuto anche un riscontro giurisprudenziale, attraverso alcuni provvedimenti pronunciati da giudici del Tribunale di Brindisi e di alcuni Tribunali del sud d’Italia.
Questa impostazione, tuttavia, per la rigidità delle soluzioni pone ancora l’interesse del genitore sopra l’interesse del fanciullo, poiché nella sua rigidità trascura la presenza di un conflitto più o meno accentuato che in difetto di una piena collaborazione dei genitori rende problematico il collocamento paritetico, ma soprattutto impone un “nomadismo” al fanciullo, costretto settimanalmente con la sua “valigetta” a trasferirsi presso l’una o l’altra abitazione, perdendo il senso della “casa familiare” e della sua appartenenza ad un luogo, che la scienza psicologica e medica ritengono fondamentale per il suo sviluppo psicofisico.
Sulla base di questo orientamento esiste una elaborazione in sede politica ed istituzionale per l’approvazione di una normativa che ponga rigidi limiti al potere discrezionale del giudice, imponendo il collocamento paritetico e la contribuzione economica diretta.
Vi è da dire che tale orientamento, seppure non del tutto inopportuno per i limiti imposti al potere discrezionale del giudice sul piano legislativo, propone uno schema troppo rigido e non del tutto in linea, per le ragioni poc’anzi enunciate, con l’interesse superiore del fanciullo, il quale ha diritto ad una casa stabile e ad un luogo che gli appartiene (per questa ragione l’assegnazione della casa coniugale segue pacificamente sempre la stabile residenza del fanciullo).
A fronte di tale esigenza è stato in questi giorni presentato in Senato un disegno di legge, che reca il nome del Senatore Simone Pillon (n. 735 atti del Senato), sul tema dell’affidamento condiviso. Il pregio del disegno di legge presentato dall’attuale maggioranza parlamentare, espressione del Governo della Repubblica, è quello di fissare maggiori rigidità ad un eccessivo potere discrezionale del giudice, tuttavia non ponendo come esclusivo il collocamento paritetico, ma consentendo al giudice, sulla base di parametri predeterminati (il luogo delle abitazioni dei genitori, le esigenze anche di salute del figlio, o altre circostanze ritenute rilevanti nell’interesse del fanciullo) la possibilità di non adottare lo schema principale e di continuare a collocare il figlio preferibilmente presso una delle due abitazioni.
Si tratta di una via intermedia che è stata sottoposta dallo stesso Senatore promotore all’attenzione delle Associazioni specialistiche in diritto di famiglia degli avvocati e che sarà oggetto di discussione a partire dal prossimo mese di settembre in sede istituzionale, con audizioni presso la Commissione giustizia del Senato.
Il disegno di legge contiene alcune norme di grande rilievo sul piano processuale, rivalutando il ruolo del minore anche all’interno del processo, attraverso una regolamentazione del suo ascolto e dovrà, come auspicato dagli avvocati che ne sosterranno l’idea in sede di audizione parlamentare, essere rappresentato da un avvocato proprio, con patrocinio gratuito a carico dello Stato, perché nel conflitto il minore non è sempre rappresentato dal genitore o dall’avvocato del genitore, secondo un modello proprio di molti paesi dell’Unione europea.