LA CONDIZIONE FEMMINILE IN ITALIA E IN EUROPA
a cura di Maria Cristina Pisani
27 Ottobre 2023
Le donne sono una risorsa fondamentale e strategica per il cambiamento, in Europa, in Italia e ovunque nel mondo, anche se devono affrontare, quotidianamente, discriminazioni, disuguaglianze, violenza e ingiustizie.
Nell’Unione europea il principio di parità tra donne e uomini è un valore fondamentale, sancito nei Trattati, nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE e nel Pilastro europeo dei diritti sociali. Nel corso degli anni, la legislazione, la giurisprudenza e le modifiche dei Trattati hanno contribuito a consolidare questo principio, non solo con misure specifiche di sostegno alle donne, ma anche con misure generali e politiche trasversali di mainstreaming di genere, così che l’UE ha compiuto progressi verso la parità di genere
Ma è davvero così? La parità di genere è una realtà in Europa o, dopo più di 50 anni di politiche, le disparità sono ancora rilevanti?
Nel 2019, intanto, è la stessa Europa che ha riconosciuto la persistenza delle disparità di genere: dalla sottorappresentazione delle donne nei settori più retribuiti del mercato del lavoro e nelle posizioni con responsabilità decisionali, all’aumento della violenza contro le donne e la violenza domestica. Con lo slogan “Unione della parità“ è stata presentata , infatti, la Strategia dell’UE per la parità di genere 2020-2025 con gli obiettivi principali della fine della violenza di genere; la lotta agli stereotipi di genere; il superamento del divario di genere nel mercato del lavoro, la parità nella partecipazione ai diversi settori economici; il superamento del divario retributivo e pensionistico fra uomini e donne ( Gender Pay GAP); il raggiungimento dell’equilibrio di genere nei processi decisionali e nella politica.
Alcuni risultati della strategia sono stati raggiunti, come la proposta di misure vincolanti per la trasparenza retributiva, la proposta adottata dalla Commissione europea l’8 marzo 2022, per la lotta contro la violenza sulle donne, la violenza domestica e online, la Direttiva sull’equilibrio di genere nei Consigli di amministrazione, adottata il 22 novembre del 2022 dopo circa dieci anni di negoziati, ma i progressi sono ancora molto lenti e fragili e soprattutto quando crisi e shock minacciano continuamente di creare nuove sfide e di invertire anni di progressi sui diritti delle donne e sull’uguaglianza di genere .
È stato pubblicato proprio in questi giorni, il Report sull’ “Indice dell’uguaglianza di genere” 2023, elaborato dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE), organismo autonomo dell’Unione Europea, che costituisce, da dieci anni, un parametro di riferimento per la situazione della parità nell’UE perché prende in considerazione diversi settori (Lavoro, Denaro, Conoscenza, Tempo, Potere, Salute, Violenza contro le donne, Disuguaglianze intersezionali). I dati del Report, riferiti al 2022, registrano il più grande salto annuale positivo dell’Unione europea con 70,2 punti sui 100 punti che rappresentano il raggiungimento della parità, ma evidenziano anche tutte le sfumature che si nascondono dietro questo numero e quanto i risultati raggiunti non possono essere dati per scontati se non sono supportati da azioni in tutti gli ambiti della vita e in tutti gli Stati membri dell’UE. Solo la Svezia, che rappresenta però solo il 2% della popolazione dell’UE, si sta avvicinando sempre più all’uguaglianza di genere, con un indice superiore a 80 punti e anche Paesi Bassi e Danimarca continuano a essere in testa, come hanno fatto per oltre un decennio, anche se i loro progressi si sono stabilizzati. Alcuni paesi hanno avuto un calo di punti, come la Finlandia o la Francia, mentre paesi, come Italia, Portogallo, Lussemburgo e Malta, hanno fatto registrare notevoli miglioramenti in termini di uguaglianza di genere rispetto agli ultimi anni, anche se continuano ad ottenere punteggi inferiori alla media UE.
Ad uno sguardo più attento dei dati del Report, tante sono le ombre: l’assistenza non retribuita che è ancora disomogenea tra donne e uomini, la segregazione di genere nel mercato del lavoro che non si è spostata di un centimetro, i progressi che si sono avuti più nei consigli di amministrazione delle aziende, grazie anche alle quote regolamentate in otto Stati membri dell’UE, che nei parlamenti nazionali. Motivi che dovranno spingere ad un’azione più mirata dei parlamenti per accelerare i progressi nella sfera politica, in vista anche delle elezioni del Parlamento europeo nel 2024;
In questo contesto quanto è lontana dal traguardo della parità l’Italia?
L’Italia come rileva l’indice europeo sull’uguaglianza di genere, con 68,2 punti su 100, passa dal 12 ° al 13º posto nell’Unione europea, ma nonostante la crescita, resta indietro e si posiziona al di sotto della media europea. I miglioramenti sono dovuti soprattutto nei campi del potere economico (che comprendono consigli di amministrazione delle imprese quotate) e del potere politico, mentre grandi difficoltà permangono nel settore dell’occupazione, dove dal 2010 ci confermiamo all’ultimo posto nella classifica europea.
Non va certo meglio se prendiamo a riferimento i dati del Report 2023 del “Global gender gap”, pubblicato dal World Economic Forum, che analizza l’evoluzione della parità in 146 Paesi del mondo attraverso quattro dimensioni: opportunità economiche, istruzione, salute ed emancipazione politica.
Intanto, all’attuale ritmo di progresso, come evidenzia il Rapporto, ci vorranno 131 anni per raggiungere la piena parità, 162 anni per colmare il divario nell’emancipazione politica, 169 anni per il divario nelle opportunità economiche, 16 anni per il divario di genere nel livello di istruzione e un tempo indefinito per colmare il divario nel campo della salute, così che l’orizzonte per colmare il gap nel mondo è il 2154.
L’Italia arretra e perde ben 16 posizioni sul fronte dell’inclusione economica delle donne , così come evidenzia anche il Rapporto “Mai più invisibili” 2023 di WeWorld , che monitora le condizioni di vita di donne, bambine, bambini e giovani in Italia , e che evidenzia anche come in Italia un minore su tre e quattro donne su dieci, vivono in territori caratterizzati da gravi forme di esclusione, con un aumento di episodi di violenza di genere , che non risparmia ragazze e bambine, come i recenti casi di Palermo e del Parco verde di Caivano hanno messo in evidenza.. Principalmente si tratta di atti sessuali con minorenni, reati di pornografia minorile, prostituzione minorile e maltrattamenti da parte dei familiari.
Tutti i dati disponibili nei vari Rapporti mostrano, in sintesi , che se anche l’Italia sta recuperando terreno rispetto agli altri Stati membri europei sul versante della parità, è un paese ancora con luci e ombre sui divari di genere , con ragazze che sono in prevalenza tra i i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano o non sono impegnati in attività formative, i cosiddetti “Neet” , con ancora un gap di genere nella formazione per le materie STEM e nelle competenze digitali e finanziarie e con , oltre alla violenza contro le donne e ai femminicidi che non accennano a diminuire, un deterioramento complessivo della dimensione della “partecipazione politica” e pochi avanzamenti nelle dimensioni della “conciliazione vita-lavoro” e delle “opportunità economiche”. La precarietà lavorativa, la perdita salariale e la difficoltà di re-inserirsi nel mercato del lavoro , le minori possibilità di fare carriera e soprattutto la scarsa presenza, che è assenza soprattutto nel Mezzogiorno, di servizi di sostegno, condizionano fortemente la scelta di maternità di molte giovani donne e la natalità nel nostro paese.
Nel 2022 in Italia lavorava il 51,1% delle donne, contro una media europea che si avvicina al 65%, con un tasso di occupazione femminile inferiore di oltre 20 punti percentuali rispetto a quello maschile, nonostante i livelli di istruzione delle donne siano più elevati , con occupate che hanno più frequentemente impieghi di tipo temporaneo, e ricorrono al part time molto più degli uomini (31,7% contro 7,7%), spesso non per libera scelta perchè una lavoratrice su due infatti – la quota più elevata registrata nell’Unione europea – sarebbe disponibile a lavorare a tempo pieno.
Persiste la piaga del Gender Pay Gap con retribuzioni orarie più basse in media dell’11% rispetto a quelle degli uomini, fenomeno che ha fatto scendere in piazza con lo slogan “Tu questa la chiami parità?”, in questi giorni, le donne islandesi anche con la Premier Jakobsdottir per uno sciopero di un’intera giornata contro il divario di retribuzione tra uomini e donne, e più in generale la disparità e violenza di genere,
Recentemente, anche la Banca d’Italia nel suo Rapporto annuale ha ribadito che la scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro è sicuramente un freno per le prospettive di sviluppo del Paese. E non è un caso che quest’anno il premio Nobel per le scienze economiche lo ha ricevuto Claudia Goldin perché “la sua ricerca rivela le cause del cambiamento e le principali fonti del divario di genere ancora esistente”.
E’ arrivato il momento allora di prendere atto concretamente anche nel nostro paese che il raggiungimento della parità di genere, l’aumento della partecipazione economica delle donne e delle leadership femminili , sono leve chiave per il futuro sostenibile dei nostri territori, delle nostre famiglie, della nostra società e della nostra economia.