LAICITÀ, LIBERTÀ RELIGIOSA E COSTRUZIONE DI EDIFICI DI CULTO
a cura di Pierluigi Consorti
16 Dicembre 2020
La possibilità dei fedeli di riunirsi in adeguati edifici di culto costituisce un diritto costituzionalmente protetto dall’art. 19 Cost. La questione è stata esplicitamente definita dalla Corte costituzionale già nel 1958 (sent. 59) e successivamente più volte ribadita, anche con riferimento ad un diritto altrettanto importante, ma forse meno evidente, relativo al sostegno pubblico per la costruzione di nuovi edifici di culto. Questa soluzione dipende dall’applicazione del principio di laicità “all’italiana”, che non si intende come indifferenza verso il sentimento religioso, ma quale vero e proprio interesse pubblico alla soddisfazione dei bisogni religiosi dei cittadini.
Siccome lo Stato, e più in generale gli enti pubblici, hanno il dovere di sostenere economicamente la costruzione degli edifici di culto, la legge prevede che i piani regolatori comunali prevedano fra le opere di interesse generale anche spazi per garantire tale finalità. Se un tempo questo onere si soddisfaceva per lo più attraverso la costruzione di nuove chiese, nell’attuale società plurireligiosa si estende a tutte le religioni, che sono “ugualmente libere” (art. 8 Cost.).
Nel 1993 la Corte costituzionale (sent. 195) ha annullato la legge della Regione Abruzzo che limitava i contributi economici alla costruzione di edifici di culto delle sole confessioni religiose che avessero stipulato un’intesa con lo Stato. In quel caso i ricorrenti furono i Testimoni di Geova, ma questo principio vale per tutte le religioni.
Tuttavia, nei confronti della costruzione di moschee, si sono spesso sollevate voci contrarie. In genere, fondate su una sorta di “eccezione islamica”, basata sulla presunta incompatibilità dell’Islam coi principi occidentali e talvolta anche su una supposta mancanza di reciprocità determinata dal fatto che gli Stati islamici non autorizzerebbero la costruzione di chiese.
Entrambe sono obiezioni giuridicamente inconsistenti. Innanzitutto, perché il principio di laicità impone allo Stato di non fare differenze fra religioni, tutte “ugualmente libere”, e poi perché non si deve confondere la dimensione statale con quella religiosa. Seppure fosse vero – ma non è vero – che gli Stati islamici non consentissero la costruzione di chiese, l’Italia è comunque tenuta a garantire i medesimi diritti costituzionali senza fare distinzioni (in questo senso, Corte cost. 63/2016 e 67/2017). La negazione del diritto alla costruzione di moschee ha pertanto fondamenti politici e non giuridici, che vanno presi in carico come tali dalle istituzioni, affinché si adoperino per spiegare ai cittadini che la costruzione delle moschee rappresenta un presidio per la sicurezza pubblica: dato che permettere ai musulmani di riunirsi in luoghi adeguati anziché in fondi riadattati, favorisce l’integrazione sociale ed esprime il rispetto delle istituzioni verso l’uguale libertà religiosa.
La Toscana dispone a questo proposito di esempi utili. Il primo è quello della moschea di Colle di Val d’Elsa, la seconda realizzata in Italia dopo quella di Roma, voluta e finanziata dagli Stati islamici accreditati presso l’Italia, che i musulmani chiamano “moschea degli ambasciatori”. Quella di Colle è stata invece voluta dalla locale comunità islamica, che ottenne tutte le autorizzazioni e anche un finanziamento dal Monte dei Paschi. Com’è noto, anche in questo caso emersero voci critiche. La più famosa fu quella di Oriana Fallaci, che biasimava la costruzione di un minareto come un’indebita intrusione nel paesaggio toscano. Perciò il minareto è stato costruito in vetro: così è trasparente e non inquina il panorama.
Polemiche sono nate anche intorno alla costruzione della moschea di Firenze. Per gestire questo conflitto è stato avviato un “processo partecipativo” – disciplinato da una legge regionale – che ha smussato molti angoli, ad es. varando un progetto architettonico che fa assomigliare la nuova moschea a una chiesa rinascimentale, senza però giungere ad una conclusione operativa. Di questa moschea non si parla più tanto, perché nel frattempo la Diocesi di Firenze col sostegno dell’Università ha venduto alla comunità islamica un terreno a Sesto fiorentino per costruirvi una moschea. Un progetto ancora in corso e non privo di ostacoli.
Ostacoli anche a Pisa. Nel 2014 la comunità islamica acquistò un terreno confidando sulla promessa del Comune di assegnare i permessi necessari per la costruzione di una moschea. Scelta osteggiata da una parte politica che gridando lo slogan “No moschea” ha vinto le elezioni del 2018, e ha quindi deciso di espropriare il terreno per costruirci un parcheggio. Gli islamici hanno fatto ricorso e il TAR ha riconosciuto le loro ragioni, osservando che se il Comune vuole costruire un parcheggio sul quel terreno, deve prima adoperarsi per soddisfare le esigenze di culto della comunità islamica. Questo perché la Costituzione e le leggi garantiscono la laicità e la libertà religiosa di tutti, nessuno escluso.