LE MOSCHEE IN TOSCANA?
a cura di Chiara Lapi
16 Marzo 2018
La moschea è il luogo di culto delle persone che appartengono alla religione musulmana. Quindi è innanzitutto un luogo di preghiera. Ma non solo. La moschea è infatti anche un centro culturale, un luogo di aggregazione sociale, e quindi, come osservano alcuni, è «una realtà multivalente: religiosa, culturale, sociale, politica». Un esempio illuminante è dato dalla Grande Moschea di Parigi, situata nel quartiere latino ed inaugurata il 15 luglio 1926, dopo la Prima Guerra Mondiale, come segno di gratitudine della nazione nei confronti di quei musulmani che avevano combattuto e perso la vita in battaglia, che è composta, oltreché dalla zona dedicata alla preghiera, da un salone da tè, da una biblioteca, da un giardino, da un ristorante, da negozi e dall’hammam. In Italia, il tema della costruzione della moschea interessa però prima di tutto l’esigenza che i fedeli di religione islamica hanno di poter disporre di un luogo per pregare, che sia idoneo dal punto di vista delle norme igieniche ed urbanistiche. Tante volte, i musulmani si riuniscono in locali, come garage o scantinati, che presentano molteplici irregolarità in materia edilizia. Pregare significa esercitare il diritto al culto che l’art. 19 della Costituzione riconosce come diritto spettante a «tutti», ossia non solo ai cittadini, ma a tutti coloro che risiedono entro i confini del territorio nazionale. Se la costruzione dei luoghi di culto, solitamente, non pone particolari problemi, la richiesta degli islamici di erigere moschee in Italia suscita accesi dibattiti. L’islam è infatti spesso considerato come una minaccia perché è associato dalla mentalità corrente ai fenomeni del terrorismo fondamentalista che ormai da tempo interessano l’Occidente. Ed è diffuso il timore che la moschea possa diventare centro di aggregazione di soggetti pericolosi, potenziali artefici di attentati. L’equazione islam terrorismo è frutto di una scarsa conoscenza di questioni molto delicate e di interpretazioni che tendono a semplificare la complessità del mondo nel quale viviamo. La paura dell’altro ed in generale di chi è diverso da me per luogo di nascita, per lingua parlata, per religione di appartenenza, per usi e costumi, è un sentimento ormai diffuso ed è causa dell’atteggiamento conflittuale che quasi sempre caratterizza l’approccio alla questione islamica. Anche la Toscana è ormai da anni terra di forti dibattiti in tema di costruzione di moschee, come dimostrano le esperienze di quattro realtà, quella di Colle di Val d’Elsa, di Firenze, di Sesto Fiorentino e di Pisa. La moschea di Colle di Val d’Elsa, dotata di cupola e minareto in cristallo, è stata inaugurata nel 2013, all’esito di un dibattito durato circa 14 anni che ha visto come protagonisti le istituzioni, i cittadini ed i membri della comunità islamica. Tra l’altro, si sono espresse sulla questione anche persone di un certo profilo culturale, come la scrittrice Oriana Fallaci, che pronunciò parole molto dure contro la proposta di edificare una moschea a Colle di Val d’Elsa, dichiarandosi pronta «a farla saltare in aria» in quanto non era ammissibile la presenza di «un minareto nel paesaggio di Giotto». Anche la comunità islamica di Firenze, che conta circa 30.000 fedeli, chiede da anni la costruzione della moschea. Data l’alta conflittualità sociale e politica che tale richiesta ha provocato, la stessa comunità islamica nel 2011 ha raccolto 2.000 firme per l’attivazione di un processo partecipativo, ossia di quello strumento previsto dalla legge regionale 69/2007, contenente «Norme sulla promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali» (cd. Legge sulla partecipazione). La denominazione del processo partecipativo, «Una moschea per Firenze. E’ possibile parlarne senza alzare la voce?», dimostra l’intento di affrontare il tema secondo la logica del confronto pacifico e del dialogo. Hanno partecipato trecento persone tra cui, oltre ovviamente ai membri della comunità islamica, cittadini, membri delle istituzioni, ed esperti di questioni urbanistiche, come alcuni architetti dell’Università di Firenze. Sebbene ad oggi la moschea di Firenze non sia ancora stata costruita e quindi il processo partecipativo non abbia raggiunto l’esito finale sperato, occorre comunque evidenziare i meriti di questo metodo. Grazie al percorso partecipativo, persone con idee e punti di vista differenti si sono potute incontrare per scambiare le loro opinioni in modo sereno ed equilibrato, dimostrando che anche un tema caldo come quello delle moschee possa essere affrontato senza toni esasperati ed ideologici. Un altro caso interessante concerne la richiesta della costruzione di un luogo di culto islamico nel comune di Sesto Fiorentino. Lo scorso dicembre è stato firmato un Protocollo d’intesa tra l’Imam di Firenze Ezzedin Elzir, l’Arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori, il Rettore dell’Università di Firenze Luigi Dei ed il Sindaco di Sesto Fiorentino Lorenzo Falchi in base al quale l’Arcidiocesi di Firenze cede, a titolo oneroso, un terreno di sua proprietà alla comunità islamica di Sesto affinché possa costruirvi la moschea. A sua volta, l’Arcidiocesi di Firenze acquista un’area di proprietà dell’Università di Firenze per costruirvi un centro di culto cattolico. La firma del Protocollo d’intesa è stata seguita da una serie di proteste promosse da alcuni esponenti politici in nome del «dovere di tutelare la difesa della nostra cultura e la nostra sicurezza». Anche la città Pisa è stata ed è teatro di una serie di dibattiti molto accesi sul quesito «sì» o «no moschea». La comunità islamica è proprietaria di un terreno dove poter costruire la moschea. Tuttavia, contro la costruzione della moschea si è costituito il comitato dal nome «Il popolo decide» che ha proposto di sottoporre la scelta alla decisione dei cittadini pisani attraverso lo strumento del referendum. Questa idea è stata però respinta dalla Commissione dei garanti del Comune di Pisa che hanno considerato il referendum contrario ai principi di uguaglianza e di libertà religiosa, sanciti rispettivamente agli artt. 3 e 19 della Costituzione. Tra l’altro, il 1 febbraio 2017 è stato siglato il Patto nazionale per l’islam italiano tra il Ministro dell’interno e molte associazioni islamiche italiane, tra le quali l’Unione delle comunità islamiche italiane (UCOII) di cui la comunità islamica di Pisa è membro. Sulla base di tale patto, «il diritto alla libertà religiosa si esprime anche nella disponibilità di sedi adeguate e quindi di aree destinate all’apertura o alla costruzione di luoghi di culto nel rispetto delle normative in materia urbanistica di sicurezza igiene e sanità, dei principi costituzionali e delle linee guida europee in materia di libertà religiosa». Questa disposizione – secondo la Commissione dei garanti – di fatto impegna i Comuni «a garantire idonee sedi di culto alle comunità islamiche». Non si può dire ad oggi quale sarà l’esito della questione della moschea a Pisa, come non possiamo sapere cosa accadrà nella città di Firenze. La strada per la costruzione delle moschee in Toscana – come altrove – è comunque irta e tortuosa. Finché non si supereranno le barriere identitarie, le ideologie conflittuali e la paura nei confronti del diverso, la moschea sarà destinata a restare terreno di scontro tra persone con visioni diverse. Perché allora non provare a parlarne senza alzare la voce? Da un confronto aperto e fondato sul dialogo ne beneficeremmo tutti quanti