Commento

LEGGE 219/2017: DUE OPINIONI A CONFRONTO

a cura di Redazione Ogl Toscana

16 Marzo 2021

A CURA DI ANGELA GIOIA

Credo che una chiave di lettura di questa legge possa essere una risposta al bisogno profondo del paziente di costruire una relazione significativa con il medico, relazione che superi l’asimmetria dei ruoli, infatti viene indicata come “Norme in materia  di consenso informato e di disposizione anticipate di trattamento” , due riferimenti che sembrano tra loro discordanti ma che sottendono entrambi la relazione medico paziente: la relazione di cura con una persona malata, a cui fornire informazioni specifiche di diagnosi e prognosi, e la relazione con una persona sana, a cui fornire informazioni generiche su possibili accadimenti futuri. In entrambi i casi, la norma riflette il desiderio della persona di avere una relazione significativa con il proprio medico che lo accompagni a comprendere le informazioni, le scelte terapeutiche proposte e ad esprimere tali scelte in autonomia ma non in solitudine, quella stessa solitudine che genera angoscia, disperazione e perdita di speranza. Nell’art. 1 “Consenso informato” si legge : “E’ promossa e valorizzata la relazione di cura e fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico”.
L’autonomia decisionale del paziente è individuale ma chiede a chi cura, e fornisce informazioni, una conoscenza medica che si esplichi non in un mero elenco di percentuali ma in una competenza anche relazionale, emozionale partecipata al paziente ed alla sua famiglia e che sia di supporto al processo decisionale. Dobbiamo chiederci, tuttavia, se ad oggi i pazienti sono realmente a conoscenza della malattia che li coinvolge, della diagnosi e soprattutto della prognosi e di quanto si possa aggravare il quadro clinico, e se di tutto ciò vengano informati dal medico a cui danno la propria fiducia, perché proprio queste informazioni sono alla base di una reale autonomia di scelta e del consenso alla sedazione nel caso si presentino sintomi refrattari ad altri trattamenti.
Benché questa non sia una legge sul fine vita, inserire la sedazione palliativa profonda continua nell’art. 2 “Terapia del dolore, divieto di ostinazione irragionevole nelle cure e dignità nella fase finale  della vita” , sottolinea, se mai ce ne fosse stato bisogno, la distanza tra sedazione ed eutanasia. La sedazione, ottenuta con farmaci che inducono il sonno (ipnoinduttori), è infatti un atto  medico che viene effettuato nelle rianimazioni e nelle sale operatorie. Nelle patologie in fase terminale tale terapia rappresenta una risorsa che il medico può utilizzare per controllare sofferenze incoercibili. Infatti la sicurezza di tale terapia è ormai condivisa e sostenuta da numerosissimi studi che evidenziano come la sedazione palliativa profonda continua non accelleri assolutamente la progressione della malattia ma eviti al paziente ulteriori gravissime sofferenze, (M. Maltoni, C. Pittureri, E. Scarpi, L. Piccinini, F. Martini, P. Turci,L. Montanari, O. Nanni, D. Amadori. Palliative sedation therapy does not hasten death: results from a prospective multicenter study Annals of Oncology 20: 1163–1169, 2009).

A CURA DI GIUSEPPE MAZZOTTA

Nella Lettera del Santo Padre Francesco al Presidente della Pontificia Accademia per la Vita in occasione del XXV anniversario della sua istituzione (11 febbraio 1994 – 11 febbraio 2019), Humana communitas [La comunità umana] si legge, al punto 13, che «la medicina e l’economia, la tecnologia e la politica che vengono elaborate al centro della moderna città dell’uomo, devono rimanere esposte anche e soprattutto al giudizio che viene pronunciato dalle periferie della terra. Di fatto, le molte e straordinarie risorse messe a disposizione della creatura umana dalla ricerca scientifica e tecnologica rischiano di oscurare la gioia della condivisione fraterna e la bellezza delle imprese comuni, dal cui servizio ricavano in realtà il loro autentico significato.
Dobbiamo riconoscere che la fraternità rimane la promessa mancata della modernità». E, volendo in questa sede limitare la riflessione alla medicina, secondo una nozione di comune esperienza, la pratica quotidiana, specie quella che, negli ultimi anni, ha espresso un grande progresso tecnologico, sia in ambito diagnostico che farmacologico, ha mostrato anche evidenti limiti nel processo di integrazione della visione della malattia entro il quadro unitario dell’essere umano; la conseguenza di tutto ciò è che, dal centro «della moderna città dell’uomo», ove quest’ultimo è totalmente assorbito nella battaglia condotta contro la malattia, si distaccano, quasi fossero la fetta esplosa di un grafico astrattamente descrittivo, le «periferie della terra», costituite, invece, dai malati, sempre più distinti, anche tra loro, con il ricorso alle caratteristiche proprie della malattia, tra acuti e cronici, guaribili e non, reattivi o meno al farmaco e via dicendo. A fronte dell’inevitabile rischio di una vera e propria eclissi della dignità del malato, fatalmente assorbito entro il quadro proprio dell’invalidante schema costo – beneficio, per sé per altri, dell’intervento terapeutico, vale ricordare che il paziente, in qualsiasi delle situazioni sopra ricordate e nella prospettiva di un proficuo rapporto con il medico, è, comunque e sempre, curabile, in quanto la salute, comunque ed a qualunque livello di autorità nazionale o sovranazionale la si voglia definire, vede neutralizzato il suo nucleo valoriale se ad essa non è sovraordinato il valore della  persona umana.
La legge 22 dicembre 2017, n. 219 «NORME IN MATERIA DI CONSENSO INFORMATO E DI DISPOSIZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO» prevede, all’art. 5, in tema di «Pianificazione condivisa delle cure» che «1. Nella relazione tra paziente e medico di cui all’articolo 1, comma 2, rispetto all’evolversi delle conseguenze di una patologia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, può essere realizzata una pianificazione delle cure condivisa tra il paziente e il medico».
Non manca e non mancherà chi ha, legittimamente, intravisto in questa regolamentazione il rischio di una istituzionalizzazione dell’eutanasia, rispetto alla quale conviene senz’altro mantenere sempre la guardia altissima, ma la pianificazione delle cure è il percorso, mediante il quale fiducia e misura, tra paziente e medico, possono reciprocamente muovere l’una verso l’altra nel migliore possibile equilibrio.