LO IUS SOLI TEMPERATO. LA RIFORMA MANCATA DI FINE LEGISLATURA
a cura di Gianluca Famiglietti
16 Gennaio 2018
Il 28 dicembre scorso, con la firma del decreto di scioglimento delle Camere da parte del Presidente Mattarella, è ufficialmente terminata la XVII Legislatura senza che vi fosse il da più parti auspicato scatto di reni (o il colpo di coda da altri temuto) consistente nell’approvazione del cd. ius soli temperato. Tra le tante immagini con cui ricorderemo la Legislatura appena conclusa, iniziata nel marzo 2013 senza un chiaro vincitore, ci sarà senz’altro quella della diretta streaming dell’incontro tra l’allora Presidente del Consiglio incaricato Bersani con la delegazione del Movimento 5stelle, ma questo quinquennio parlamentare resterà nella memoria anche per i tre Governi succedutisi (Letta, Renzi, Gentiloni) senza una precisa investitura elettorale, per l’elezione di due Presidenti della Repubblica (e il “trauma” dei 101 che affossarono la candidatura al Quirinale di Romano Prodi), così pure per una certa attenzione al capitolo dei diritti: dalla legge Cirinnà sulle unioni civili, al biotestamento, dalla legge sul c.d. dopo di noi (per l’assistenza alle persone disabili) alle norme in tema di autismo, dall’introduzione del reato di tortura, alle norme su caporalato e femminicidio.
Questo tenue filo rosso si è spezzato con la mancata approvazione della riforma della legge n. 91 del 1992 in tema di acquisto e concessione della cittadinanza italiana, senza cioè che il Senato sia riuscito a votare il testo sul cd. ius soli temperato che la Camera dei Deputati aveva approvato il 13 ottobre 2015.
La proposta – lo ricordiamo – si concentra sulla questione fondamentale della tutela dell’acquisto della cittadinanza da parte dei minori, apportando a tal fine alcune modifiche alla legge sulla cittadinanza del 1992. La novità principale del testo consiste nella previsione di una nuova fattispecie di acquisto della cittadinanza italiana per nascita(cd. ius soli) e nell’introduzione di una nuova fattispecie di acquisto in seguito ad un percorso scolastico (cd. ius culturae).
In particolare, acquista la cittadinanza per nascita chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, di cui almeno uno sia titolare del diritto di soggiorno permanente o in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (cd. ius soli).
La seconda fattispecie di acquisto della cittadinanza riguarda il minore straniero, che sia nato in Italia o vi abbia fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età, che abbia frequentato regolarmente per almeno cinque anni nel territorio nazionale uno o più cicli presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali idonei al conseguimento di una qualifica professionale. Nel caso in cui la frequenza riguardi il corso di istruzione primaria, è altresì necessaria la conclusione positiva di tale corso (c.d. ius culturae).
Oltre a queste ipotesi, che configurano un diritto all’acquisto della cittadinanza, la proposta introduce un ulteriore caso di concessione della cittadinanza (cd. naturalizzazione), che ha carattere perciò discrezionale, per lo straniero che ha fatto ingresso nel territorio nazionale prima del compimento della maggiore età, che vi risieda legalmente da almeno sei anni, che qui abbia frequentato regolarmente un ciclo scolastico con il conseguimento del titolo conclusivo. Tale fattispecie dovrebbe, in particolare, riguardare il minore straniero che ha fatto ingresso nel territorio italiano tra il dodicesimo ed il diciottesimo anno di età.
Quella sommariamente descritta sarebbe (o potrebbe essere) una riforma che inizi a fare finalmente i conti in modo maturo col fenomeno dell’immigrazione; non mi riferisco ai numeri degli sbarchi di oggi, dal momento che il tema dell’acquisto della cittadinanza iure soli non riguarda affatto l’emergenza degli arrivi di questi anni (peraltro i recentissimi dati ci dimostrano la forte contrazione nella seconda parte del 2017 degli approdi via mare). Mi riferisco agli arrivi degli anni Ottanta e Novanta, quelli degli immigrati che hanno iniziato a scegliere l’Italia non più come Paese di transito ma sempre più come meta finale, quelli che hanno radicalmente cambiato la nostra società, consegnandoci oggi una seconda ed una terza generazione di immigrati, di cittadini stranieri nati in Italia.
Se in passato aveva un senso improntare la legislazione sulla cittadinanza attorno al criterio dello ius sanguinis, quello in virtù del quale è cittadino italiano chi nasce da un genitore italiano, il quale trasferisce lo status civitatis al figlio quasi “cromosomicamente”, ed il senso stava nel fatto che quella è una scelta tipica degli ordinamenti tradizionalmente caratterizzati da forte emigrazione, in tal modo cercando di tenere insieme una comunità nazionale sparsa su scala globale; ebbene oggi quella scelta appare alquanto anacronistica, in favore dell’altro criterio possibile, quello dello ius soli, scelta tipica degli ordinamenti caratterizzati da forte immigrazione (come ad esempio lo sono stati gli USA).
I dati sulla popolazione scolastica ci dicono che da ormai qualche anno più della metà degli alunni stranieri presenti nelle scuole dell’obbligo italiane è nata in Italia: bambini e ragazzi di fatto Italiani, ma che in base alla legge del 1992 devono attendere la maggiore età per richiedere la cittadinanza italiana.
La riforma mancata sullo ius soli avrebbe (o potrebbe) porre rimedio ad una delle principali deficienze dimostrate nel corso degli ultimi trent’anni dalla “politica” rispetto al fenomeno dell’immigrazione, ovvero l’approcciarsi ad essa secondo una logica esclusivamente di tipo emergenziale, spesso come un problema “stagionale” (d’estate aumentano gli sbarchi e d’inverno diminuiscono), talvolta come una variabile economica (l’incidenza della forza-lavoro straniera sul PIL o sul sistema pensionistico), quasi sempre come un problema di sicurezza.
Un approccio finalmente maturo al fenomeno implica averne una visione laica (a cui non vengano cioè anteposti dogmi e slogan politici) e condividerne la portata globale ed epocale (le parole più volte pronunciate da Papa Francesco costituiscono una formidabile bussola in questa direzione).
È facile immaginare che la riforma delle regole sulla cittadinanza costituirà una dei temi della prossima campagna elettorale: la speranza – in verità assai flebile – è che non si tratti dell’ennesima occasione mancata.