QUALI POLITICHE PER I GIOVANI? LE NUOVE, VECCHIE ESIGENZE ALLA LUCE DELLA PANDEMIA
a cura di Valerio Martinelli
16 Ottobre 2020
Commento L. R. 81.2020 del 6.08.20 in materia di “Promozione delle politiche giovanili regionali”
Quando ci siamo confrontati, nel giugno dell’anno passato, con il documento che costituiva la proposta del testo di legge che stiamo approfondendo, mai avremmo immaginato – credo – la difficile situazione odierna. Mai avremmo potuto anche solo pensare alla pandemia, alla sua evoluzione, alle nuove necessità ed i nuovi, vecchi bisogni che ci ha fatto (ri)scoprire.
Prima, sentivamo parlare di politiche giovanili quasi fossero qualcosa di “distante” da noi: qualcosa che non ci riguardasse poi così tanto.
Permaneva anche il senso di confusione e disorientamento nel mare magnum diversificato di questi strumenti dato soprattutto dalla loro difficile qualificazione: ma che cosa ci si deve aspettare come effetto da una politica giovanile? Che tipo di interventi possiamo ricondurre sotto questa categoria? Qual è il nostro target?
Oggi, forse, dopo aver visto tanti giovani all’opera durante il c.d. lockdown, quotidianamente, casa per casa, nei nostri comuni e nei nostri territori a consegnare generi di prima necessità, farmaci e altri beni a domicilio, a regalare una parola di conforto od un sorriso – pur filtrato dalla mascherine a cui ormai siamo così avvezzi – a chi, per forza di cose, doveva stare rinchiuso in casa, capiamo quanto sia importante coinvolgere, attivare e responsabilizzare le giovani generazioni all’interno di progetti ed iniziative che siano ricchi di senso. Importante non solo per loro, ma per tutti: dei frutti dell’impegno di un giovane formato ed attivo, non beneficia il singolo, ma l’intera Comunità.
Detto questo, certo dobbiamo salutare con favore una legge regionale – come la n. 81.2020 approvata dal Consiglio Regionale della Toscana in data 6.08.20 – che, come sancisce all’art. 1, riconosce “le politiche giovanili come elemento essenziale di promozione della crescita umana e del Paese, del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, della parità fra donne e uomini, in una società inclusiva e aperta che sviluppa la solidarietà e promuove la tolleranza, anche per rafforzare la coesione sociale”.
Alle politiche giovanili, giustamente, viene riconosciuto un alto significato sociale. Vi sentiamo riecheggiare, forse, quell’art. 4, secondo comma della nostra Costituzione: quel “dovere” posto in capo a ciascun cittadino – giovane e meno giovane – di svolgere “un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società”.
Sulle orme del progetto Giovanisì, che aveva già in se’ il merito di aver approntato interventi diversificati ed efficaci a sostegno (o a stimolo) dei giovani in una prospettiva organica ed unitaria, questa legge si propone di sistematizzare principi ed indirizzi di merito e di metodo.
In primo luogo, la c.d. “intersettorialità”. Si è chiaramente compreso che l’obbiettivo del raggiungimento dell’autonomia o della responsabilizzazione da parte dei giovani non è un traguardo che possa essere raggiunto con un approccio mono-settoriale: dipende da diversi fattori che debbono essere considerati nel loro insieme. Di talché, si dovrà intervenire organicamente con strumenti diversi per confrontarsi con problemi ed opportunità diverse.
Questa osservazione, fra l’altro, ci impone una considerazione di carattere più generale ed in particolare sulle “categorie” che gli addetti ai lavori – e non solo – sono soliti utilizzare per individuare il c.d. target delle politiche giovanili.
La legge regionale in esame ad esempio, individua il proprio margine di intervento considerando giovani dai 16 ai 40 anni, residenti, domiciliati o occupati in Toscana.
Altri, preferiscono utilizzare la macro-categoria dei c.d. NEET (Not in Education, Employment or Training) di cui in realtà avevamo già detto nel commento alla proposta di legge.
Ciò su cui non ci siamo soffermati però, è la effettiva definizione di questi soggetti. Giovani che non lavorano, non studiano e non sono impegnati in attività di tirocinio. Già da questa definizione capiamo quanto possa essere vaga questa categorizzazione. Il segmento considerato è amplissimo – circa 3 milioni di soggetti in Italia – e difatti prende in considerazione persone molto diverse fra loro. Basti pensare – a titolo di esempio – al fatto che fra questi noi dovremmo considerare, statisticamente, come sostanzialmente identici: giovani che potrebbero vivere di rendita e pertanto non si impegnano in nessuna attività; giovani strappati al proprio futuro dalla criminalità organizzata, che appunto non li fa studiare o lavorare regolarmente; giovani che a causa delle difficoltà socio-economiche o della povertà educativa in cui si trovano direttamente o per tramite delle loro famiglie non riescono a trovare un proprio spazio nella società.
Soggetti completamente diversi e situazioni che hanno poco in comune.
Varrebbe la pena chiedersi, allora, non già, o non solo, se le soluzioni (le politiche giovanili) approntate siano efficaci quanto se vi sia un deficit analitico a monte in merito alla natura del problema. In questo senso, potremmo spiegarci il fatto che le politiche giovanili tout court non funzionano alla perfezione (e non a caso abbiamo ancora un grande numero di NEET od inoccupati fra i giovani): non tanto perché come “cura” sono inefficaci o blande, quanto perché la “diagnosi” a monte è stata probabilmente approssimativa. Segmentare la macro-categoria dei NEET ad esempio, certo potrebbe essere utile per calibrare nuovi e più efficaci interventi, seguendo quel principio di intersettorialità richiamato dalla legge regionale in esame.
In secondo luogo, va sottolineato che questa norma (all’art. 5) preveda un organo deputato alla comunicazione e al monitoraggio delle politiche giovanili. Qui, si percepisce la sensibilità del legislatore al tema della valutazione delle politiche pubbliche: aspetto senz’altro innovativo ma che denota una certa maturità della legislazione. Le forme ed i risultati delle politiche giovanili toscane saranno comunicati all’esterno e monitorati.
In terzo luogo, assai interessante è il tema della partecipazione. Anche qui, riprendendo il programma Giovanisì, viene nuovamente menzionato il Tavolo Giovani: una piattaforma di confronto fra le istituzioni ed il c.d. “mondo” giovanile, nella consapevolezza che il coinvolgimento attivo dei più giovani nel determinare il proprio futuro possa essere una delle chiavi per la loro autonomia e la loro responsabilizzazione.
In questo solco, si colloca certamente a pieno titolo, l’esperienza del Servizio Civile, ripreso, nella legge, dal progetto Giovanisì. Una policy particolare ed unica: una politica giovanile ed al contempo una politica attiva del lavoro; una politica per l’occupazione; un’occasione formativa, stimolo per la cittadinanza attiva e potremmo continuare.
Non a caso, proprio in questi giorni, in molti quotidiani sono apparsi appelli accorati all’attenzione del Governo per poter rilanciare questo intervento così importante.
Ormai, sono scientificamente consolidati gli orientamenti che vedono in questa politica un possibile mezzo per attivare responsabilmente giovani da tutto il Paese, nel mercato del lavoro e non solo.
E, come detto in apertura, ne possiamo misurare i benefici per tutta la Comunità, non soltanto per i fruitori. Molti volontari del Servizio Civile ad esempio, sono stati fra coloro che attivamente hanno collaborato con le istituzioni in diverse zone d’Italia per sopperire ad alcuni servizi essenziali per i cittadini durante la pandemia. Una ricchezza quindi per il Terzo Settore in genere e per il Paese.
Varrebbe la pena di recuperare questa esperienza – spesso relegata ad ambiti angusti – e – come esperienza civica di alto valore, come un’occasione per mettersi in gioco al Servizio, appunto, del Bene Comune. Certo, come in molti recentemente hanno sottolineato, per far questo servono le risorse nel bilancio dello stato, ma indubbiamente un ripensamento complessivo della spesa potrebbe venirci in aiuto.
La regione Toscana, d’altro canto, si è dimostrata virtuosa sotto questo punto di vista e l’esperienza del Servizio Civile regionale ha effettivamente portato buoni frutti.
Pertanto, per rispondere alla domanda iniziale, politiche come il Servizio Civile potrebbero senza dubbio rispondere a più esigenze: formare giovani, facendo loro guadagnare “sul campo” competenze e capacità di organizzarsi; fornire ai giovani operatori una ricompensa economica (le circa 433 euro previste dalla legge); attivare giovani che diversamente sarebbero inattivi ma anche costruire un gruppo di persone formate ed operative per le emergenze e per i servizi essenziali etc.
L’approccio intersettoriale e diversificato certo deve fungere da principio faro, ma alla luce di quanto ci siamo detti, immaginare interventi che possano venire incontro a più (vecchie o nuove) esigenze, può essere fondamentale.