Commento

RAPPORTO POVERTÀ CARITAS

a cura di Francesco Paletti

16 Febbraio 2021

“Paura” e “ansia” soprattutto. Ma anche “tragedia”, “disarmante”, “disastro”, “incubo” e “solitudine”. Sono le parole con cui i “nuovi poveri della pandemia”, le persone che si sono rivolte per la prima volta ad uno dei servizi delle Caritas diocesane toscane dopo il lockdown del 10 marzo scorso, raccontano l’impatto del virus sulla loro quotidianità. In tutto si tratta di 6.563 nuclei familiari, un terzo (33,7%) delle 19.310 incontrate dai servizi degli uffici per la pastorale della carità della Chiesa toscana fra gennaio e settembre 2020.

È anche a loro che Caritas toscana ha deciso di dare voce nel Dossier 2020 sulle povertà di Caritas e nel contributo elaborato per il Quarto rapporto sulle povertà della Regione Toscana. Ma anche alla “povertà già conosciute”, ossia a coloro che già avevano frequentato i servizi Caritas prima della pandemia, anche se magari non vi si rivolgevano da qualche tempo, e agli operatori e i volontari in prima linea fin dal lockdown di marzo. Lo ha fatto con 60 interviste qualitative (20 a “nuovi poveri della pandemia” e altrettante a nuclei già conosciuti prima del lockdown e a operatori e volontari), realizzate fra l’1 e il 15 giugno 2020, che sono andate ad integrare la consueta analisi quantitativa relativa alle famiglie incontrate e ai bisogni emersi durante i colloqui.

Al riguardo la retorica dell’“andrà tutto bene” che ha accompagnato la narrazione della pandemia in questo periodo di crisi sociale ed economica, oltreché sanitaria, sembra un po’ vacillare rispetto ai racconti di chi ha vissuto sulla propria pelle l’impatto, non solo del virus, ma anche delle misure necessarie per contenerlo. 

“Prima della pandemia lavoravo quest’altri mesi, qualche lavoretto al nero, così … riuscivo ad andare avanti. Ma dopo la pandemia proprio non si trova nulla”

È l’occupazione che non c’è più, o che si è ristretta in termini di orario e retribuzione, la causa principale che ha visto tante persone precipitare in una condizione di grave difficoltà economica nel volgere di brevissimo tempo. Famiglie che prima della pandemia riuscivano a sopravvivere, senza il ricorso all’aiuto delle reti di solidarietà, pubbliche o del volontariato, grazie al proprio lavoro, certo spesso precario e qualche volta al nero. E ora non vi riescono più. Il quadro restituito dal monitoraggio realizzato attraverso un questionario somministrato ai referenti delle Caritas diocesane, infatti, racconta sì di una significativa richiesta di aiuto da parte di disoccupati che erano già senza lavoro prima della pandemia ma che, magari, riuscivano a sopravvivere grazie al sostegno dei congiunti (i genitori piuttosto che il coniuge o i fratelli). Ma soprattutto di lavoratori della cosiddetta “area grigia”, un po’ borderline fra il precariato e il sommerso, oltreché piccoli lavoratori autonomi costretti a fermarsi causa lockdown e dipendenti che non avevano ancora percepito la Cassa Integrazione Guadagni (Cig) o l’avevano ricevuta con notevole ritardo: proprio i ritardi nell’erogazione della Cig, infatti, sono indicati fra i motivi che hanno avuto un impatto “molto” o “abbastanza” significativo in 13 delle 17 diocesi della Toscana.

Quindi dal 20 marzo sono in cassa integrazione e la cassa integrazione per marzo e aprile è arrivata la scorsa settimana, in tutto 1.140 euro per 50 giorni … io pensavo fosse un po’ di più, però ho scoperto che ai 900 euro c’è una tassazione del 23% e tutto quindi si riduce … a non poter pagare nemmeno la rata della macchina

Accanto alle “nuove povertà” sono emersi anche i “nuovi bisogni” della pandemia, collegati alla diversa quotidianità indotta dalle restrizioni e dal distanziamento sociale: almeno cinque diocesi, ad esempio, hanno segnalato un notevole aumento delle richieste di aiuto in ambito educativo, prevalentemente collegate alla didattica a distanza con molte famiglie fragili che sono state in difficoltà nell’assicurare ai figli in età scolastica la possibilità di partecipare alle lezioni on line per mancanza o limitatezza dei device e debolezza della connessione alla rete

“Tutti con questa videolezione a distanza. Perché non è che abbiamo un computer per tutti o cellulari tecnologici per tutti e quindi ci siamo dovuti un attimino organizzare. Abbiamo dovuto mettere per forza questa connessione a casa, abbiamo fatto questo abbonamento a internet da pagare mese per mese. Che se puoi, lo paghi (..) se non puoi, non lo paghi. Perché non è che ci possiamo permettere un’utenza in più tutti i mesi”

e per problemi legati alla difficoltà nell’assicurare il necessario sostegno formativo ai figli

“La bambina aveva anche compiti on-line, figlioli tutti e due a fare i compiti (..) io come rumena che non lo so (..) parlo abbastanza italiano, mi faccio capire (..) ma grammatica, a stare dietro, a fare analisi grammaticale, guarda, mi veniva salire sui muri”

La crisi economica e sociale collegata alla pandemia, ovviamente, ha avuto un impatto significativo anche sulla situazione dei nuclei familiari già conosciuti: in questo caso la nuova quotidianità causata dalla pandemia ha acuito situazioni di multiproblematicità preesistenti.

“Il panico era per la bimba più che altro, perché lei (..) è una bimba di otto anni che, voglio dire, è abituata a stare insieme a tutti, è un animalino sociale (..). A un certo punto le è stato tolto tutto e il tutto che è stato tolto a lei, è stato tolto a me come è stato tolto a tutti, ovviamente. Però, io, avendo già i miei problemi di salute, perché ho la sclerosi multipla, essendo immunodepressa (..) per era ancora più difficile”

Sono state numerose, al riguardo, le situazioni di coloro che, proprio per il riacuirsi della condizione di difficoltà, sono tornati a riaffacciarsi ai servizi delle Caritas toscane:

(..) Io facevo i’ccuoco e andavo a dare una mano a un ristorante (..) c’andavo il fine settimana. E ora questo ristorante non riapre. Anzi, m’ha chiamato ieri per andare a firmare de’ fogli… e quindi per me siamo tornati alla situazione… ora magari lei non lo sa ma nel 2017(..) 2018 s’è rischiato anche lo sfratto e abbiamo chiesto tre mila euro in prestito alla Caritas. (..) Meno male che avevo trovato questo lavorino (..)”

Sono le cosiddette “povertà di ritorno” che riguardano quelle famiglie che sono tornate a bussare alle porte dei Centri d’Ascolto a qualche anno di distanza dall’ultima volta. Anche loro, da marzo in poi, fanno segnare una crescita rapida e costante.