Editoriali

SULLA GESTIONE DEI FLUSSI MIGRATORI COLLEGATI ALLA GUERRA IN UCRAINA. CI PUÒ DAVVERO ESSERE UN’ALTRA DUBLINO?

a cura di Gianluca Famiglietti

23 Febbraio 2023

In conseguenza dell’invasione dell’Ucraina da parte russa del 24 febbraio scorso, per far fronte al flusso massiccio di sfollati che già nei primi giorni del conflitto lasciava il Paese aggredito, il 4 marzo il Consiglio dell’UE ha deciso per la prima volta di dare attuazione alla direttiva n. 55/2001 che prevede l’istituto della protezione temporanea.

Accanto alle due “forme classiche” della protezione internazionale (lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria), all’indomani dei conflitti nella ex Jugoslavia e in Kossovo si decise di dar vita ad un “terza modalità” di protezione internazionale derivante dal sistema comune europeo di asilo, appunto la protezione temporanea: una procedura di carattere eccezionale che garantisce – nei casi di afflusso improvviso o di imminente afflusso massiccio di sfollati provenienti da Stati non appartenenti all’UE che non possono rientrare nel Paese d’origine – una tutela immediata e temporanea, in particolare qualora sussista il rischio che gli Stati membri non possano far fronte a tale afflusso con gli strumenti dell’asilo ordinari. L’afflusso massiccio deve essere formalmente accertato con decisione del Consiglio dell’UE adottata a maggioranza qualificata ed essa vincola anche gli Stati che si sono espressi in senso contrario; la decisione deve indicare altresì le capacità di accoglienza degli Stati membri, così da ripartire gli sfollati tra loro. La protezione temporanea – della quale il Consiglio stabilisce la durata, prorogabile di sei mesi in sei mesi – può coprire un arco temporale di massimo tre anni, al termine dei quali se non è possibile un rimpatrio sicuro e stabile il Consiglio è chiamato a trovare soluzioni alternative (verosimilmente la protezione sussidiaria). 

Fino al marzo 2022 la protezione temporanea non aveva ricevuto applicazione alcuna.

In base alla decisione del marzo ’22 la protezione temporanea si applica: ai cittadini ucraini residenti in Ucraina prima del 24 febbraio; ai cittadini di Stati terzi o apolidi che beneficiavano della protezione internazionale o di protezione equivalente in Ucraina prima della stessa data; c) ai familiari delle persone indicate in precedenza; al coniuge o al partner stabile, qualora la legislazione o la prassi dello Stato membro interessato assimili coppie di fatto e coppie sposate; ai figli minori, non sposati, del richiedente o del coniuge; altri parenti come i figli maggiorenni a carico totalmente invalidi, genitori a carico o ultrasessantacinquenni, che convivevano in Ucraina e dipendevano in tutto o in parte dal richiedente il ricongiungimento; infine, ai cittadini di Paesi terzi o apolidi che possono dimostrare che soggiornavano legalmente in Ucraina prima del 24 febbraio, sulla base di un permesso di soggiorno permanente, che non possono ritornare in condizioni sicure e stabili nel proprio Paese di origine.

L’Italia, nel dare attuazione alla decisione (DPCM 28 marzo 2022), ha deciso di non riconoscere la protezione agli apolidi e cittadini di Paesi terzi diversi dall’Ucraina regolarmente soggiornanti in Ucraina prima del 24 febbraio 2022 sulla base di un permesso di soggiorno non permanente, impossibilitati a far ritorno in condizioni sicure e stabili nel proprio Paese di origine.

Fermo restando che gli Stati membri di accoglienza possono prevedere condizioni più favorevoli, la decisione prevede un contenuto minimo della protezione: il rilascio un titolo di soggiorno per la durata della protezione stessa; il diritto di lavorare subordinatamente o in modo autonomo; l’accesso all’istruzione per adulti e minori e quello alla formazione professionale per i primi; il diritto di essere adeguatamente alloggiato; l’assistenza sociale, i contributi al sostentamento e le cure mediche; l’assistenza socio-sanitaria alle persone che presentino esigenze particolari, come nel caso di minori non accompagnati, vittime di torture, stupri o altre gravi forme di violenza psicologica, fisica o sessuale.

Punto essenziale della decisione del Consiglio è risultata l’introduzione del principio della free choice rispetto al Paese UE cui avanzare la richiesta di protezione temporanea. Gli sfollati ucraini, pertanto, non si sono dovuti fermare nel primo Paese d’ingresso e chiedere la protezione – secondo le regole dell’asilo attuali – ma hanno potuto attraversare liberamente le frontiere interne e scegliere dove insediarsi.

Da molti osservatori questo aspetto è stato enfatizzato al punto di individuarlo come grimaldello per scardinare il cd. “sistema Dublino”, disciplinato dall’attuale Reg. 604/2013 (cd. “Dublino III”), che in tema di riconoscimento della protezione internazionale fissa per l’appunto il principio (fino ad oggi) granitico e inscalfibile della responsabilità del primo Paese UE di ingresso per l’accoglienza e l’esame delle domande dei richiedenti asilo.

Si tratta indubbiamente di un segnale che va nella direzione del superamento di quel modello, da qui però a ritenerlo un orizzonte prossimo il basso non è affatto breve; e questo per due ordini di ragioni.

Anzitutto si è trattato di una scelta dettata dalla circostanza per cui i cittadini ucraini già prima dello scoppio della guerra contro la Russia non necessitavano del visto di entrata nell’UE; dunque, si sarebbero comunque potuti muovere verso ovest ma in modo più caotico e disorganizzato. 

Accanto a questa ragione più – per così dire – di respiro contingente, ve ne è un’altra più di prospettiva politica: l’abbandono del principio del “Paese di primo ingresso” non potrà realizzarsi fin quando l’Europa continuerà a parlare a “tre voci”, quella del gruppo Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) ostile all’idea stessa di accoglienza, quella dei Paesi c.d. “frugali” (Olanda, Austria, Danimarca, Svezia, con Finlandia e Repubbliche baltiche in posizione leggermente più defilata), restii a riconoscere finanziamenti alle economie del sud Europa, e per l’appunto la voce dei PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna, in rigoroso ordine “suino”) che sopportano in larga misura il peso dell’immigrazione che proviene dall’Africa e dal vicino Oriente.

È evidente come, facendosi beffe di qualunque principio solidaristico, ai Paesi dei primi due rassemblements il “sistema Dublino” faccia comodo, scaricando sugli Stati della frontiera meridionale la gran parte della pressione migratoria.

Questa Europa però è destinata a sfasciarsi definitivamente naufragando proprio sugli scogli della immigrazione.