TENDERE UNA MANO ALLE FUTURE GENERAZIONI: RIFLESSIONI SU POLITICHE GIOVANILI E NON SOLO
a cura di Valerio Martinelli
16 Giugno 2019
Commento alla pdl n. 363 del 20.04.2019 in materia di “Promozione delle politiche giovanili”
Quando si parla di giovani, o rectius, come in questo caso, di politiche giovanili, é facile scadere nella retorica o nella banalizzazione della questione.
Se da un lato infatti, complici i tempi – di crisi, ma non solo -, sembra sempre più facile versare fiumi di inchiostro e parole sui problemi dei giovani, o finanche sulla loro importanza per la società, risulta assai più difficoltoso, dall’altro, per i decisori – e non solo – mettere in campo azioni e politiche in grado di coltivarne, promuoverne e valorizzarne effettivamente l’apporto di valore e le potenzialità, cercando di abbattere, al contempo, il muro del c.d. “divario generazionale”.
Il rischio, spesso, sia in sede di analisi teorica che in sede di elaborazione di proposte, é di semplificare eccessivamente il tema, generalizzando le considerazioni e stereotipando i possibili interventi.
Troppo spesso sentiamo o siamo portati a dire “ah, i giovani d’oggi”; “i giovani” sono difficili; “i giovani” non si impegnano; “i giovani” sono disinteressati e potremmo continuare.
Per alcuni, questi “giovani” – quasi appartenessero ad una categoria lontana di soggetti non ben determinati – avrebbero bisogno di incentivi non ben precisati, per altri di sussidi economici, per altri ancora, basterebbe una pacca sulla spalla.
C’é molta confusione, nel senso più squisitamente etimologico del termine.
Laddove si é sempre cercato tradizionalmente (e, forse, forzatamente) di ricondurre ad unità, in realtà bisognerebbe fare attenzione alle singole specificità, ai sotto-insiemi, alle sotto-categorie.
Equiparare – sia in teoria che nella pratica della predisposizione delle politiche – un soggetto appartenente alla categoria dei “NEET” (sigla, che, lo ripetiamo, significa: “Not in Employment, Education or Training) ad un giovane lavoratore “precario” è un errore metodologico sotto vari aspetti: i due “giovani” avranno senz’altro bisogni ed esigenze diverse, saranno calati entro diverse realtà, riscontreranno problematiche – seppur simili – diversificate.
Come può essere predisposto un intervento identico per entrambi? E, a maggior ragione, come potrebbe essere verificata e valutata l’efficacia di quell’intervento a posteriori?
Per non parlare poi dell’età anagrafica: possiamo, in fede, dire che un giovane di 17 anni fronteggi le stesse necessità, problematiche e si muova in un contesto analogo rispetto ad un soggetto di 30 anni compiuti? Credo proprio di no.
Potremmo continuare? Certo. Senza dilungarci troppo, basti pensare alle differenze fra chi – a parità di età – si cimenta nel perfezionamento degli studi e chi invece fronteggia le sfide del mercato del lavoro: di nuovo, due mondi diversi.
Ecco dunque che possiamo facilmente capire il perché – qui come in altri settori – interventi indifferenziati, calati dall’alto e senza porsi il problema di valutare a monte le varie esigenze e situazioni, non solo rischiano di non produrre effetti positivi, ma anzi potrebbero portare a risultati dannosi per l’uno o l’altro soggetto.
A questo aspetto, certo, la pdl. n. 363/2019 all’esame del Consiglio Regionale della Toscana, rubricata “Promozione delle politiche giovanili regionali”, sembra porre una buona dose di attenzione, laddove, sulla scia del progetto/programma “Giovanisì”, conferma un approccio multi-settoriale, organico e coordinato alle politiche che sono oggetto del nostro approfondimento, attento anche alle diverse esigenze e provenienze.
Casa, lavoro, studio, tirocini, incentivi per l’imprenditorialità: tutto in un un’unica normativa organicamente ordinata.
Gli interventi mono-settoriali e momentanei, difficilmente avranno un buon impatto su quelle giovani generazioni che oggi hanno esigenze sempre più complesse e trasversali e si impegnano in mondi e su temi che fino a poco tempo fa credevamo solo appannaggio di tecnici ed addetti ai lavori: pensiamo a tutto il movimento di Greta Thunberg e ai #Fridaysforfuture.
Dobbiamo forse sforzarci di uscire da una forma mentis che per tanti anni ha caratterizzato il mondo occidentale per quanto concerne il rapporto coi giovani, che, indipendentemente dall’età, sono sempre stati considerati – solo – soggetti “deboli” e pertanto, meritevoli di una tutela particolare e possibili destinatari di interventi “dall’alto”.
Oggi non può e non deve esserci solo questo: la sfida che il nostro tempo ci lancia – colta pienamente da Papa Francesco nell’esortazione “Christus Vivit” e, se vogliamo, dello stesso approccio è frutto anche l’invito a giovani imprenditori e ricercatori a “The Economy of Francesco” ad Assisi – è quella di una responsabilizzazione “coordinata” dei giovani, in tutti i campi.
I giovani non devono essere lasciati soli, hanno anch’essi bisogno di sinodalità, del “cum”/σύν, “con”, di condividere un percorso, in cui però meritano di essere responsabilizzati, valorizzati e messi alla prova.
C’è la possibilità di tradurre questi indirizzi ed intendimenti in politiche nazionali, oggi?
Va detto che negli ultimi anni, poco si è visto in questa direzione ed i recenti interventi, volti spesso più a distribuire reddito per il consumo più che a mettere in campo servizi o stimolare produttività, non ci fanno sperare per il meglio.
C’è da dire però che alcuni ricercatori nel nostro Paese (penso alla Fondazione Bruno Visentini), nel redigere annualmente il report sul “divario generazionale”, con l’edizione del 2018 hanno proposto una policy assai particolare per intervenire in questo campo.
I giornalisti l’hanno definita “reddito di opportunità” ma il nome scelto dagli autori del rapporto è “una mano per contare” perché trattasi di una politica multi-settoriale (agevolazioni per il mutuo sulla casa o contributi per l’affitto, assegni di ricerca per i ricercatori, alternanza scuola lavoro per i liceali, esperienze formative e professionali etc.) differenziata persino in base all’età dei fruitori/destinatari, composta da 5 tipi di interventi (come 5 dita di una mano), praticamente a costo zero in quanto potrebbe beneficiare di una riorganizzazione e rimodulazione dei servizi e delle misure già utilizzate per un costo complessivo di 3,7 miliardi di euro.
Una politica che potrebbe mettere in campo servizi ed incentivi a disposizione dei giovani, avendo cura delle rispettive specificità, per sviluppare competenze, valore, professionalità e capitale relazionale: forse è quello che ci serve? Vale la pena pensarci su!