Editoriali

TRIBUTI, FISCO E POLITICHE REDISTRIBUTIVE. CONSIDERAZIONI APARTIRE DALLA “NUOVA” TASSA SUI C.D. EXTRAPROFITTI

a cura di Valerio Martinelli

8 Agosto 2023

Il dibattito sulle forme e sul regime di tassazione dei redditi è, da tempo, centrale nel confronto pubblico ed è stato reso senz’altro più urgente ed attuale dall’andamento del contesto socio-economico del nostro Paese, condizionato da fattori – non solo – esogeni come la pandemia, il conflitto russo-ucraino e la speculazione conseguente che hanno colpito duramente ora in modo diretto “le tasche” degli italiani, ora in modo indiretto il potere d’acquisto dei loro salari.

Non stupisce, allora, che anche in seno al Consiglio Regionale della Toscana questo tema sia stato attenzionato in più occasioni e – persino – nella recente mozione n. 1354/2023, che pur riferendosi ai centri estivi e alla loro accessibilità, ha impegnato la Giunta a farsi parte attiva presso il Governo per intervenire sulla deducibilità ai fini IRPEF delle spese sostenute dalle famiglie per quei servizi.

Un tema, questo, che in quanto connesso alla riflessione su una tassazione più giusta, equa e progressiva, in ultima analisi, ha a che fare con la redistribuzione delle risorse all’interno del nostro Paese e, di conseguenza, con la promozione dell’uguaglianza sostanziale fra le persone.

In questo senso, un provvedimento annunciato nei primi giorni d’agosto ci offre l’occasione per una riflessione più approfondita. All’interno dei cosiddetti “decreti omnibus” presentati dal Governo, infatti, è stata inserita una misura attraverso la quale il governo imporrà sulle banche una tassa sugli extraprofitti, ovvero quei maggiori guadagni ottenuti dagli istituti di credito grazie all’aumento dei tassi di interesse su mutui e prestiti.

L’oggetto della misura, ovvero gli extraprofitti, riguarda il settore finanziario del nostro Paese e l’aumento dei profitti in media del 75% nel primo trimestre del 2023 rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente1. Un incremento dettato perlopiù dall’innalzamento dei tassi d’interesse deciso dalla Banca centrale europea dal 4 al 4,25%, con l’obiettivo dichiarato di contrastare l’inflazione all’interno dei Paesi dell’Eurozona2. Tra i quali, appunto, anche l’Italia.

Il fenomeno relativo alla tassazione degli extraprofitti degli istituti di credito, comunque, non è esclusivamente italiano. Misure di questo tipo sono già state adottate anche in altri Paesi europei, come Spagna, Repubblica Ceca, Lituania, Ungheria e Svezia, mentre è in fase di discussione una tassazione del tutto simile anche in Belgio e, fuori dall’Unione Europea, nel Regno Unito3.

In linea generale, secondo quanto riportano alcune fonti della stampa, il recupero da parte del nostro Governo nel prossimo semestre dovrebbe oscillare tra 1,5 e 2,47 miliardi di euro, considerando le prime sei banche italiane4. Risorse che, come spiegato sempre da esponenti dell’esecutivo, saranno destinate per due scopi precipui: un sostegno per i mutui delle prime case, sottoscritti in tempi diversi rispetto agli attuali, e a un deciso taglio delle tasse.

Della misura in questione, però, occorre anche sottolineare le evidenti debolezze e mancanze, al di là degli scopi benemeriti. Innanzitutto, serve chiarire che la misura, almeno per il momento, sarà limitata esclusivamente al 2023, e che dunque il maggior gettito da parte dello Stato sarebbe garantito una tantum, e non in maniera strutturale.

A questo “ridimensionamento” temporale, se ne aggiunge un secondo di tipo quantitativo: oltre alla esclusione dalla tassazione delle banche che si sono già adeguate alle raccomandazioni della Banca d’Italia, aumentando dunque la remunerazione dei tassi di interessi attivi, dev’essere considerato il cap reso noto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze attraverso un comunicato stampa, con il quale è stato imposto “un tetto massimo per il contributo che non può superare lo 0,1 % del totale dell’attivo”5. Questa specifica, in breve, ridurrà significativamente l’importo preventivato inizialmente dal Governo, che non si attesterà tra i 4 e i 5 miliardi, bensì, come anticipato sopra, al massimo sui 2,5 miliardi di euro6.

Una mancanza di strutturalità e di continuità che, nel breve periodo, rischia di minare non solo la stabilità delle banche, ma anche di ripercuotersi sulla clientela e, dunque, sui cittadini. Di fronte alla tassa sugli extraprofitti e, dunque, a una minor redditività, gli istituti di credito potrebbero anche decidere di aumentare i prezzi, applicando tassi più alti sui mutui e maggiori commissioni su servizi e conti correnti. E ancora, vi è il rischio di ulteriore credit crunch, ovvero la forte riduzione della disponibilità di prestiti, in particolare attraverso richieste più stringenti, che rappresenterebbe un grande rischio per l’economia italiana7.

Per esempio, sui mutui a tasso variabile, che secondo l’Abi in Italia sono il 37% del totale8, le stime parlano di un possibile aumento dello 0,5% del costo per famiglie e imprese. Come calcolato da QuiFinanza, un mutuo medio a tasso variabile, stipulato a gennaio 2022, costa oggi 2.300 euro in più ai cittadini, a causa dell’aumento dei tassi della Banca centrale europea. Tra un anno, a luglio 2024, la quota potrebbe raggiungere addirittura 5.300 euro in più. Ciò, di fatto, snaturerebbe completamente gli obiettivi di una misura che è stata presentata come politica che mira alla redistribuzione.

Proprio sul tema della redistribuzione occorre fare un passo in avanti rispetto a misure, come quella relativa alla tassazione degli extraprofitti proposta dall’attuale Governo. Autentiche politiche redistributive, che ambiscano a risolvere le storture del nostro modello di crescita e sviluppo e del nostro sistema economico che sembra produrre povertà. Queste politiche possono essere attuate solo ponendo in essere un indispensabile cambio di paradigma sulla questione della disuguaglianza anche all’interno del nostro Paese.

L’Italia, nel contesto europeo, continua a essere protagonista in negativo per quanto riguarda le disuguaglianze: mentre sul continente il coefficiente di Gini – misura della diseguaglianza di una distribuzione – si attesta al 30,1% nel 2021, con un calo di soli 0,3 punti percentuali rispetto al 2012, il nostro Paese rimane al di sopra della media9. In questo senso, la nota del Ministero dell’Economia e delle Finanze relativa alle dichiarazioni dei redditi 2022 dimostra ancora una volta come questi ultimi siano scarsamente redistribuiti tra la popolazione10.

A rendere ancor più complicato il quadro vi è il fenomeno dell’evasione fiscale, che in Italia ha raggiunto livelli senza precedenti. Secondo quanto calcolato da La Repubblica, ci sono circa 300mila grandi evasori, mentre annualmente vengono a mancare al gettito dello Stato circa 100 miliardi di euro11. Gli ultimi dati disponibili, resi noti dalla Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva, evidenziano come nel 2020 sia stato registrato un ammanco superiore agli 89 miliardi di euro12, risorse che giocoforza vengono a mancare per l’erogazione dei servizi da parte dello Stato.

Il caso italiano ha particolare rilevanza internazionale, tanto da meritarsi un neologismo, ossia “Disuguitalia”, data l’evidente polarizzazione che si è venuta ad acuire a seguito della pandemia da Covid-19 tra la fascia di popolazione più ricca e quella più povera. In un rapporto del gennaio 2023 curato da Oxfam Italia13, viene evidenziato come tra il 2020 e il 2021 la quota detenuta dal 10% più ricco è aumentata di 1,3 punti percentuali su base annua, a fronte di una sostanziale stabilità della quota del 20% più povero e di un calo delle quote di ricchezza degli altri decili della popolazione. La ricchezza del 5% più benestante degli italiani, a fine 2021, era superiore a quella detenuta dall’80% più povero.

Un divario destinato ad ampliarsi se non dovessero essere intraprese misure efficaci soprattutto a sostegno della fascia più fragile della popolazione. E, si badi bene, non è soltanto di povertà in senso assoluto che si parla, ma anche di fenomeni come quello dei “lavoratori poveri”, a causa del quale lavoratori e lavoratrici effettivamente occupati percepiscono salari talmente ridotti da non permettere loro di garantirsi un’esistenza dignitosa. Al di là delle possibili definizioni di “lavoratore povero”, che possono considerare diversi elementi statistici, un gruppo di lavoro costituito ad hoc dal Ministero del Lavoro, adottando come criterio la definizione di Eurostat, seppur ampliata, ha stabilito come nel 2022 circa il 13% degli occupati in Italia rientri in questa categoria, per un totale di 3 milioni di lavoratori14.

È evidente che questo problema, così come d’altronde quello della povertà tout court, non può dirsi risolvibile solo e soltanto con un intervento che regoli i salari fissando un minimo. Urgono delle vere politiche redistributive che tassando chi ha – o guadagna – mostruosamente di più possano contribuire a migliorare la condizione e la qualità della vita di chi ha spaventosamente meno, in termini di risorse ed opportunità.

Per intervenire in modo radicale su questa situazione, oltre alla tassazione sugli extra-profitti delle banche, occorrerebbe tenere conto anche di altri settori dove, negli ultimi tempi e per vicissitudini specifiche, sono stati registrati notevoli incrementi del profitto. Per esempio, durante la pandemia e dell’emergenza sanitaria, il comparto farmaceutico impegnato nella produzione del vaccino, secondo i dati forniti da Statista, ha visto aumentare nettamente i propri introiti: con un confronto tra il primo quadrimestre del 2020 e del 2021, sono stati raggiunti anche picchi del 167% in più15.

E ancora, profitti di gran lunga superiori rispetto a periodi comparabili sono stati riscontrati anche nel settore delle assicurazioni16 e, ovviamente, della produzione delle armi. A seguito dello scoppio del conflitto in Ucraina, al quale comunque continuano ad affiancarsi numerosi altri focolai di guerra sparsi per tutto il mondo, la spesa mondiale per gli armamenti ha raggiunto la cifra record di 2.200 miliardi di dollari17. Un mercato di portata globale, al quale però l’Italia ha partecipato grandemente: alle spalle dei primi cinque Paesi al mondo per export di armi – Stati Uniti, Russia, Francia, Cina e Germania – il nostro Paese ha garantito il 3,8% del commercio mondiale18.

Dunque, la tassazione su questo tipo di profitti, per poter dare davvero vita a politiche redistributive forti ed efficaci, non può essere catalogata come misura una tantum o straordinaria e limitata nel tempo, bensì strutturale, progressiva ed equa. La soluzione estemporanea di una misura limitata nel tempo e nell’estensione rischia di distorcere il mercato – con il rischio di azzardo morale da parte delle famiglie che scelgono di accendere un mutuo19 – e di rivelarsi controproducente, come alcuni rischi insiti alla tassa sugli extraprofitti dimostrano.

Le risorse ottenute tramite la tassazione di questi settori e di coloro che “guadagnano troppo” dovrebbero essere utilizzate per garantire maggiori investimenti su infrastrutture, sicurezza sociale, sanità e welfare, istruzione e politiche attive del lavoro. Non solo: in un’ottica di valutazione delle politiche pubbliche, potrebbe essere interessante immaginare una sorta di vincolo di destinazione di quanto ricavato, dandone poi successivamente un’adeguata pubblicità. In questo modo, le imprese e i cittadini, nonché gli stessi istituti di credito, avrebbero la possibilità di monitorare le risorse versate e sapere a quali obiettivi vengono e verranno destinate.

Da questa riflessione, non possiamo escludere le rendite, di ogni forma e di ogni tempo. In Italia, per fare un esempio, le rendite immobiliari valgono per il 12,7% del Pil e il loro peso è aumentato in modo rilevante nel corso del tempo. Contestualmente, dalla fine degli anni Settanta e fino ai primi anni Duemila, la quota dei redditi complessivi destinati ai lavoratori è diminuita. Se aumentano le rendite e lo fanno in maniera più rapida dei redditi da lavoro, è naturale e scontato che diminuiscano sempre più velocemente i ritorni sul capitale produttivo; inoltre, si tratta di investimenti “che non generano nuova attività produttiva”20 e che, per questo, non hanno potenziale di crescita, se non marginale e spesso derivano da manovre speculative.

È dunque fondamentale, anche in quest’ottica, prevedere una tassazione sulle rendite maggiore di quanto non avvenga sul lavoro. Anche questo può essere un modo efficace per intervenire con maggiori risorse sulla lotta all’evasione e sull’abbattimento delle tasse sul lavoro, favorendo così il ceto medio-basso e quei lavoratori poveri di cui sopra. Del resto, la nostra Costituzione è piuttosto chiara: la Repubblica è fondata sul lavoro, in quanto elemento in grado di “concorr[ere] al progresso materiale o spirituale della società”, e non sulla rendita.

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  1. M. TADDEI, «I pro e i contro della tassa sugli “extraprofitti” delle banche», Pagella Politica, 9 agosto 2023. ↩︎
  2. R. SORRENTINO, «La Bce alza i tassi di interesse al 4,25% dal 4,0%», Il Sole 24 Ore, 27 luglio 2023. ↩︎
  3. «Tassa su extraprofitti bancari: lo scenario europeo», La Stampa, 10 agosto 2023. ↩︎
  4. P. PARONETTO, «Banche, per le big con tassa extra profitti una stangata potenziale da 2,5 miliardi nel I semestre», Il Sole 24 Ore, 8 agosto 2023. ↩︎
  5. Banche: cap a misura extra-margini, Comunicato Stampa n. 128, Ministero dell’Economia e delle Finanze, 8 agosto 2023. ↩︎
  6. L. DAVI, «Extraprofitti, il tetto dimezza il prelievo: ecco il conto banca per banca», Il Sole 24 Ore, 10 agosto 2023. ↩︎
  7. A. NISI, «Il decreto extraprofitti rischia di essere un boomerang, parola di Banca Etica», Vita, 10 agosto 2023. ↩︎
  8. G. FERRAINO, «Tassa sugli extraprofitti delle banche, ecco come funziona: gli effetti su banche e clienti», Il Corriere della Sera, 10 agosto 2023. ↩︎
  9. «In Italia e in altri paesi Ue sono aumentati i divari di reddito», Openpolis, 5 aprile 2023. ↩︎
  10. Portale Open Data Dichiarazioni, disponibile sul sito internet del Ministero dell’Economia e delle Finanze, consultato il 12 agosto 2023. ↩︎
  11. C. BONINI, G. COLOMBO, G. FOSCHINI, «La grande evasione», La Repubblica, 6 agosto 2023. ↩︎
  12. Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva. Anno 2022, 19 settembre 2022, disponibile sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze, consultato il 12 agosto 2023. ↩︎
  13. M. MASLENNIKOV, La disuguaglianza non conosce crisi, Oxfam Italia, gennaio 2023. ↩︎
  14. A. GARNERO, S. CIUCCIOVINO, R. DE CAMILLIS, M. MAGNANI, P. NATICCHIONI, M. RAITANO, S. SCHRER, E. STRUFFOLINO, Relazione del gruppo di lavoro sugli interventi e le misure di contrasto alla povertà lavorativa in Italia, novembre 2021, disponibile sul sito del Ministero del Lavoro, consultato il 12 agosto 2023. ↩︎
  15. L. TREMOLADA, «Quanto sono aumentati i profitti dell’industria farmaceutica che produce il vaccino?», Il Sole 24 Ore, 12 maggio 2021. ↩︎
  16. A. BONAFEDE, «Assicurazioni, pochi Danni molta Vita: che profitti nelle polizze», La Repubblica, 23 maggio 2022. ↩︎
  17. «Armi: il grande affare di morte, anche per l’Italia, da fermare», Avvenire, 24 maggio 2023. ↩︎
  18. «Armi: guadagni record nel ’22, mentre la fame uccide 9mila persone al giorno nei Paesi in guerra», Oxfam Italia, disponibile sul sito internet di Oxfam Italia, consultato il 12 agosto 2023. ↩︎
  19. G. CIPOLLINO, «Tassa sugli extraprofitti delle banche: la quintessenza di un’azione squinternata», Milano Finanza, 8 agosto 2023. ↩︎
  20. M. BORDIGNON, F. NERI, C. ORLANDO, «Da dove arrivano i redditi degli italiani?», Osservatorio Conti Pubblici Italiani, 6 febbraio 2023. ↩︎